C'era una volta...
Un vecchio faceva il cammino con il figlio giovinetto. Il padre e il figlio avevano un unico piccolo asinello: a turno venivano portati dall'asino ed alleviavano la fatica del percorso. Mentre il padre veniva portato e il figlio procedeva con i suoi piedi, i passanti li schernivano: "Ecco," dicevano "un vecchietto moribondo e inutile, mentre risparmia la sua salute, fa ammalare un bel giovinetto". Il vecchio saltò giù e fece salire al suo posto il figlio suo malgrado. La folla dei viandanti borbottò: "Ecco, un giovinetto pigro e sanissimo, mentre indulge alla sua pigrizia, ammazza il padre decrepito". Egli, vinto dalla vergogna, costringe il padre a salire sull'asino. Così sono portati entrambi dall'unico quadrupede: il borbottìo dei passanti e l'indignazione si accresce, perché un unico piccolo animale era montato da due persone. Allora parimenti padre e figlio scendono e procedono a piedi con l'asinello libero. Allora sì che si sente lo scherno e il riso di tutti: "Due asini, mentre risparmiano uno, non risparmiano se stessi". Allora il padre disse: "Vedi figlio: nulla è approvato da tutti; ora ritorneremo al nostro vecchio modo di comportarci".
Sostituite ai passanti i giornalisti, concedete qua e là qualche altra piccola licenza da parafrasi, e avrete ottenuto l’intervento con cui Benitez si è presentato in conferenza stampa all’alba della partita decisiva per la permanenza di questo Napoli tra le grandi d’Europa. La Favola di Esopo, la cui citazione ha riscosso tanta ammirazione nella stampa nostrana, veniva riportata come risposta alla domanda di un giornalista che suggeriva al tecnico azzurro un cambio di modulo per provare a raddrizzare una serie di risultati negativi che, da un po’ di tempo a questa parte, accompagnavano i partenopei. Questa semplice storiella ha, come dicevamo poc’anzi, incantato i media, stupiti dal retroterra culturale di un uomo che milita nel mondo sportivo.
V’è tuttavia qualcosa di ben più profondo dietro questo scambio di domande pungenti e stoccate culturali. Dietro questo siparietto infatti, si nasconde tutta la differenza che attraversa due popoli. L’uno, quello italico, figlio di Machiavelli, conosciuto in tutto il mondo come un popolo scaltro e cinico. L’altro, quello spagnolo, che invece la sua paternità la ritrova in Cervantes, un popolo pieno di entusiasmo e di candore un po’ folle, fatto di gente che alle favole ci crede ancora. La tentazione di farci trascinare troppo verso l’analisi di questa tendenza a vivere il mondo delle Fiabe è forte, e se soggiogati a questa suggestione ci incamminassimo per questa via, rischieremmo forse di farci portare verso zone in cui è fin troppo facile smarrire la propria strada. Altri molto più competenti di noi per di più, si sono già spinti lungo questo percorso, ci affideremo dunque al loro giudizio, e se ci dicono che andare in fondo alle favole è l’unico modo che ci resta per riscoprire qualcosa di essenziale e sublime come, per dirla con le parole di Walter Benjamin, “il giusto che incontra sé stesso”, vi proveremo a credere, nonostante, è qui è sempre un italiano che parla, anche questa possa sembrare null’altro altro che una favola essa stessa che racconta il mondo delle favole. La via per questi campi come vi dicevo rischia di diventare tortuosa e piena d’insidie, conviene dunque che la si lasci, per ritornare verso gli eventi di ieri sera.
Quando durante la partita infatti, all’ 80esimo circa, il Marsiglia in dieci teneva testa al Vélodrome ai vice campioni di Germania e di Europa, e il Napoli metteva sotto al San Paolo l’attuale regina del Regno unito di Gran Bretagna, forse anche qualcuno di quegli italiani che alle favole non riescono proprio più a credere per un attimo deve aver tentennato. Sarà stato giusto un momento, il tempo di tornare bambini, un istante in cui riscoprire la propria innocenza, pochi minuti in cui il mondo sarà tornato davvero un posto, come suggeriva Benjamin, abitato dai giusti. Allora, anche se per poco tempo, qualcuno deve aver gridato dentro di sé che con dodici punti, dopo una partita così, in un mondo del genere, non puoi non vincere. Poi la radio o qualche commentatore sportivo, forse uno smartphone, devono aver coperto quella voce così simile a quella di una madre che ci raccontava questa fiaba. Alla notizia del ritrovato vantaggio del Dortumnd a pochi minuti dalla fine, si è tornati di colpo tutti grandi. Nessuno più aveva la forza di credere alle favole, e qualcuno deve essersi ricordato che siamo un popolo che per decenni si è lasciato guidare da un uomo il cui aforisma più significativo è stato: “A pensar male dell’altro si fa peccato, ma si ha quasi sempre ragione”, quando, come in questo caso, senza voler dare adito a immotivati sospetti nei confronti dei protagonisti del match francese, l’altro può esser anche solo la fortuna.
Questo bagno di cinismo, che ha ricondotto tutti verso la propria natura ha aperto le porte al genere della beffa. Un genere, questo, molto più vicino alla nostra cultura. E così al gol di Callejon gli occhi di tutti erano tornati freddi, e i sorrisi amari. Alla fine della partita a piangere sono stati gli spagnoli, negli occhi bagnati di Gonzalo Higuain è scivolato tutto il dramma di un popolo che si è visto strappare dalle favole, per ritrovarsi disteso su di un freddo terreno di un campo di calcio, qui nel mondo della realtà. Sugli spalti occupati dagli italiani se qualche lacrima c’è stata, la si è coperta con gli applausi. Loro, i tifosi italiani, l’hanno sempre saputo che il mondo vero quasi mai sorride ai giusti. Alle favole, loro, hanno smesso di crederci tanto tempo fa.
Eppure… già forse c’è ancora un eppure. Perché, anche se solo per un attimo, a vacillare e a cadere verso il mondo delle favole sono stati i cuori di milioni di persone che in un momento hanno riscoperto quanto era diversa la vita quando si credeva ancora nelle favole. Questi sono momenti che nella memoria non si possono cancellare. La vita con la sua freddezza riprende il suo cammino, un uomo di ventisei anni, piegato in lacrime dalla sua ceca durezza, è tutto quel che apparentemente rimane dei sogni di quei bambini che tutti siamo stati. Ma se qualcuno, tra quelli che hanno vissuto quello strano ritorno all’infanzia, provasse ora a spingere per un attimo lo sguardo oltre questa triste scena in primo piano, si stupirebbe forse di scorgere sullo sfondo dell’esistenza un piccola porticina, simile a quella di fronte alla quale una volta si ritrovò una gigantesca protagonista di Lewis Carroll. Forse al contrario di quell’Alice, non riuscirà più a trovare, come ieri sera, in mezzo alle mille figure di questa vita così seria e spietata, quella piccola bottiglia con su scritto “Bevimi”, che sola gli concederebbe di rimpicciolirsi e passare attraverso quel minuscolo stipite. Ma saprà sempre dov’è quella porta e, cosa ancor più importante, non dimenticherà forse mai cosa si nasconde dietro di essa.