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Benevento – I due teatri (seconda parte)

Scritto da Luca Murolo Il . Inserito in Port'Alba

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Se trovare l’antico Teatro Romano si è rivelato facilissimo, tutt’altra cosa è per l’anfiteatro, sconosciuto alla maggior parte della popolazione locale. A chiunque ne chiedo informazioni, a meno di non cascare su di un erudito o un professore di storia, cosa che a me non è capitata, mi rimanda al più conosciuto Teatro al centro del Triggio. Prendo qualche coordinata, e riprendo la mia ricerca da ponte Leproso.

Costruito sul fiume Sabato, appena prima che le sue acque si versino nel Calore, è il classico ponte a “schiena d’asino” di periodo Repubblicano, è infatti datato attorno al III secolo a. C., e consentiva alla via Appia di superare il corso d’acqua. Fu anche chiamato ponte delle streghe, perché queste si riunivano nelle sue vicinanze, sotto un noce che sorgeva presso la confluenza dei due fiumi, luogo, a quanto pare, propizio per le loro riunioni: i sabba.

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Partendo da lì, alla fine della vicina via Munazio Planco, c’è un’area recintata con una tettoia in latta, che ricopre gli scavi. Si intravedono spezzono di mura, con il “bugnato romano”, e qualche spezzone di arco. Non c’è, in effetti, molto da vedere, ed è senz’altro questo il motivo per cui la sua esistenza è quasi del tutto ignorata. Ma sono nei pressi di Porta Atri, l’ingresso basso del Triggio, l’affascinante quartiere antico di origine Longobarda, e mi regalo un'altra passeggiata tra le antiche mura ricche di storia.

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Appena entrato, ammirando i capitelli “corinzi” inseriti nella facciata di una chiesa, mi imbatto in due giovani, anche loro affascinati dalla costruzione, e dopo poche chiacchiere mi presentano una gentile signora, proprietaria del ristorante “Triggio”, ancora chiuso dal “lock-down” dovuto alla pandemia da Coronavirus. È un’antica locanda Longobarda, e quando mi invita a visitarlo, non me lo faccio ripetere.

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Come aprendo uno scrigno segreto, mi si parano avanti una caterva di tesori, a partire da un soffitto a volta assolutamente incredibile, costruito con mattoncini di pietra, circa mille anni fa. Travi in legno, lapidi antiche ed altre risalenti al periodo del fascismo, e mi narra delle cantine e degli scavi effettuati nel giardino dell’onnipresente cortiletto interno. Mi racconta ancora, improvvisato Cicerone, del Tempio di Diana, che sorgeva esattamente di fronte alla locanda, i cui resti sono adesso sepolti da una fitta macchia di vegetazione. Le sue sacerdotesse hanno dato vita alle famose streghe di Benevento, che sono delle “Janare”, da Dianare, sacerdotesse di Diana, per i Romani dea della Luna, e si riunivano, appunto, sotto il vicino noce alla confluenza dei fiumi Calore e Sabato.

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Risalgo via San Filippo per ammirare le statue inserite nelle mura delle case, che come quelle nel giardino di Santa Sofia e di tanti altri luoghi, sono senza testa, vittime di saccheggi che vanno da tempi antichissimi a, ahimè, i giorni nostri. Passando attraverso degli scavi ancora non completati, di epoca Traiana, del tutto circondati da palazzi moderni regolarmente abitati, si sbuca affianco al Duomo, anch’esso come il suo campanile, ornato da cimeli romani provenienti dal Teatro e dall’Anfiteatro. In maniera semplicistica, si attribuiscono rilievi che ritraggono gladiatori, come il famoso “hoplomachus” conservato nel Museo del Sannio, all’anfiteatro, e le maschere in pietra, al Teatro.

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Salire lungo corso Garibaldi continua ad essere uno spettacolo degno di nota, anche per chi, come chi scrive, lo fa sotto la canicola pomeridiana di questa torrida estate. Si incontra prima Palazzo Paolo V, e di fronte, ritornato al suo posto, l’obelisco di Iside; palazzo dell’Aquila Bosco Lucarelli, sede dell’Università, il palazzo sede della “Strega”, celebre fabbrica di dolciumi, famosi i suoi torroni ed il più celebre liquore, con un cortile colmo di reperti posti in bella mostra.

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Da un lato si intravede l’arco di Traiano, dall’altro un anonimo vicolo con splendidi mascheroni in pietra inseriti nelle mura delle case. In uno di questi l’”Hortus conclusus”, eccezionale opera dell’artista contemporaneo Mimmo Palladino. E poi il celebre campanile di Santa Sofia, discosto dalla chiesa, solitario, al centro della strada, come una sentinella a guardia di tanta bellezza. La facciata di questa, per altro ancora una meraviglia, ha due colonne diverse tra loro, di chiara provenienza Romana, di qualche tempio più antico, pagano, o anch’esse dal già saccheggiato Teatro. Continuando a passeggiare, si possono contare a migliaia le contaminazioni di epoche lontane, sotto forma di semplici paracarri e architravi, inserite apparentemente in maniera casuale in mura moderne, maschere e statue, bassorilievi e capitelli.

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Ero già stato varie volte a Benevento, per lavoro o appuntamenti mirati, di fretta, e tanta bellezza mi era sfuggita!