Giambattista Vico (terza parte)
Lo studio delle lingue e delle etimologie diventa così d'importanza capitale perché possa realizzarsi un'autentica e approfondita conoscenza storica. Da questo appare evidente come l'interpretazione vichiana della storia muova da una condizione primitiva e selvaggia, dalla quale solo gradualmente l'uomo si libera.
In questa prima età l'uomo, preda di mille paure e timori, subisce passivamente la cieca e imprevedibile volontà degli dei che egli supinamente adora. Passa poi all'età degli eroi, caratterizzata da un regime oligarchico e aristocratico nel quale il potere si esprime nell'arbitrio di pochi. Al culto degli dei si sostituisce ora quello degli eroi, gli stessi che detengono il potere. Nella terza e ultima età, infine, subentrano la coscienza, la ragione e il dovere: gli uomini sono ora capaci d'intendere e di volere autonomamente, sono cioè padroni di sé.
Culmine e manifestazione estrema di questa età è, secondo Vico, il prosaico mondo della moderna civiltà borghese, unicamente preoccupato di garantirsi sicurezza e benessere. Essa perciò entra in crisi e ne inizia il processo di disfacimento e di decadenza, prospettando il ritorno a una nuova barbarie. In una vera e propria catastrofe planetaria la civiltà stessa si disgrega riconsegnando l'uomo alla sua situazione originaria e consentendo così alla storia di ricominciare da capo il proprio ciclo. Vico ebbe la sua piena valutazione solo dallo storicismo ottocentesco e soprattutto da Benedetto Croce, che ne studiò a fondo l'opera e mise in luce la grande attualità e la profondità speculativa delle sue dottrine.
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