Verso i cent'anni dalla nascita del Partito Comunista in Italia
Ai primi del 1921, al XVII Congresso del PSI, il lungo travaglio interno sfocia in una scissione. I lavori si aprono il 15 gennaio al teatro Goldoni di Livorno. La sala è addobbata con festoni di lauro, mazzi di garofani rossi, slogan fra falci e martelli, mentre un imponente ritratto di Marx domina l'assemblea.
Sono presenti molti giornalisti. Uno scrive: <<Questo congresso sembra avere più l'apparenza di un grandioso fatto di cronaca che quella di un importante avvenimento politico>>. Non potrebbe sbagliarsi di più. I congressisti sono circa tremila: e altrettanti sono gli agenti incaricati di sorvegliare la manifestazione. Le varie frazioni socialiste si mantengono separate anche nella sistemazione dei posti. La maggioranza massimalista che controlla circa 100mila voti ha sistemato i suoi delegati nella vasta platea. Nei palchetti di destra siedono i delegati della minoranza riformista la cui mozione otterrà 15mila voti.
A questa tradizionale contrapposizione si è però aggiunta una nuova aggressiva frazione che raccoglie 58mila voti e si è sistemata nei palchetti di sinistra. Sono i comunisti, che si rifanno all'esperienza sovietica e puntano verso una rivoluzione a breve scadenza. I comunisti si dividono in tre gruppi: i torinesi di 'Ordine nuovo' guidati da Antonio Gramsci, Umberto Terracini e Palmiro Togliatti; il gruppo napoletano dei 'Soviet', capeggiato da Amedeo Bordiga, e gli ultra massimalisti di Nicola Bombacci. Capo della frazione comunista è l'ingegner Bordifa, 32 anni, fisico da lottatore. Bordiga crede nella rivoluzione, ma soprattutto è convinto della necessità di dar vita anche in Italia a un partito di tipo leninista, fortemente centralizzato e capace di funzionare da <<avanguardia>> del movimento operaio.