I centosessant'anni dall'assedio di Gaeta (prima parte)
Lo scorso 13 febbraio è stato il 160° anniversario dalla fine dell'assedio di Gaeta. Dopo le battaglie del Volturno, del Garigliano e di Mola di Gaeta (nonostante il nome appartiene al comune di Formia), i borbonici si asseragliarono a Gaeta per tentare l'ultima resistenza. Nella fortezza si trovavano già il deposto Francesco II, la regina Maria Sofia e il loro seguito di funzionari e cortigiani.
Al generale Enrico Cialdini venne affidato il compito di porre l'assedio dalla parte della terraferma, all'ammiraglio Persano quello di bloccare la città dalla parte del mare. Ma quest'ultima iniziativa poté essere attuata solo a gennaio inoltrato del 1861, quando la squadra francesce mandata da Napoleone a presidiare le acque di Gaeta fu fatta ritirare anche a seguito delle energiche pressioni del governo di Londra. La città fu sottoposta a pesanti bombardamenti, che provocarono molti danni e vittime fra la popolazione, già messa a dura prova dalla fame e dal tifo. Carlo Alianello, nella 'Conquista del Sud', ricostruisce le terribili giornate del febbraio 1861 senza fare mistero delle sue simpatie filoborboniche. E' una testimonianza interessante -anche se è da accettare con le dovue riserve- di una pagina di storia vista <<dall'altra parte>>. Alianello si affida, nella sua rievocazione, alla penna di Giuseppe Buttà, cappellano militare del corpo dei <<Cacciatori>> napoletani e autore di un volume di memorie: “Lo scoppio più terribile avvenne il 5 febbraio alle quattro e mezzo pomeridiane, rovinando la Cortina S.Antonio.
Questa Cortina è vicinissima alla Porta di Terra che dà su Montesecco, ed era la meglio costruita. Nella riserva erano quaranta cantaie di polvere e quarantamila cartucce: tutto prese fuoco! Lo sbalordimento fu per tutti orribile, giacché ignoravamo le ragioni di quel fragoroso scoppio. Un membo fitto di polvere e di fumo coprì Gaeta. Mentre eravamo tutti ansiosi di sapere qual disastro ci minacciasse, giunse l'ordine di accorrere immediatamente sul luogo della catastrofe. Dio! Quale spettacolo!
Tutte le case del quartiere di Porta di Terra erano distrutte, ridotte a un mucchio di rovine; non si sapeva più ove si fosse, ove si andasse in quella giornata più che notte buia, rischiarata solamente e orridamente da lampi dello scoppio delle bombe nemiche. Nondimeno ci avanzammo di quelle macerie e in quelle tenebre. Finalmente giungemmo sul luogo del principale disastro.
Qui la penna mi cade di mano nel rammentare quella scena di desolazione, impossibile a descriversi. Mezza Cortina S.Antonio disfatta; la vicina batteria della Cittadella, già isolata, screpolata e vacillante, minacciava di cadere; le casematte e sotto queste schiantate parecchie compagnie di soldati; e da quel mucchio di ruine, anzi sepolcri, uscivano pianti, lamenti, grida angosciose e disperate... Sotto quelle casematte ruinate si trovavano più di quattrocento soldati, sepolti, la maggior parte vivi, e sotto le case cadute più di cento innocenti e innocui cittadini, donne e fanciulli.
I principali reali, il Re e la Regina accorsero immediatamente sul luogo del disastro, dando essi primi l'esempio del coraggio e dell'abnegazione. Tutti cominciammo la non facile opera del disotterrare le vittime. E mentre ci mettevamo a scavare per salvare da certissima morte quegli infelici sotterrati, ecco il fuoco di tutte le batterie nemiche volgersi sopra il luogo del disastro; e, come se tutto ciò fosse poco, si avvicina tutta la flotta e vomita ferro e fuoco. Un grido orribile d'indignazione e di maledizione rimbombò in quelle ruine, animando il nostro coraggio ch'era quello della disperazione. Gli artiglieri furibondi corsero alle batterie e con energia suprema risposero ai colpi del nemico.
Dio, che giorno! La flotta, sempre prudente, prese il largo. L'Ettore Fieramosca e il Fulminante, legni già napoletani, percossi, furono lì lì per affondare. Intanto, le batterie di terra eran controbattute dalle nostre, ma non si potevano far tecare quelle fuori tiro, e fu necessario salvare parte degli infelici sotterrati sotto una pioggia di micidiali proiettili. E, mentre si salvava qualche cittadino o soldato sepolto sotto quelle rovine, cadevano spenti quei generosi accorsi per salvarli! Io vidi sublimi atti di coraggio e di abnegazione, che mi fecero dimenticare la ferocia del nemico...”.