Tutsi e Hutu: un eccidio annunciato
Siamo sempre nella stessa zona, perché come diceva un noto antropologo, i nomi e le divisioni tra stati, in Africa, è stata fatta dall’”uomo bianco”, e non corrisponde a quella naturale delle popolazioni locali. Questa è l’”ex Africa coloniale belga”, come già detto un territorio ricchissimo, amministrato da Leopoldo II come suo possedimento personale, con una crudeltà tale che mai si sarebbe sognato di applicare a territori europei. L’inizio del razzismo, se poi ci aggiungiamo l’odio atavico tra le differenti etnie e tribù, si, possiamo dire che se il razzismo non è nato qui, per lo meno ci si trovava molto bene.
Verso la fine degli anni ’80 ed i ’90, qui si scatenò una delle più cruente “guerre razziali” che il pianeta ricordi, quasi dimenticata, perché all’epoca la stampa mondiale era alle prese con un altro massacro: quello dei Balcani. Quando si tratta di uccidere i suoi simili l’”Uomo” è bravissimo, in natura non ha rivali.
Come sempre succede, come nacque la cosa, quale fu l’episodio scatenante, se ne è persa l’origine, fatto sta, che Tutsi e Hutu, che sino ad un certo punto avevano convissuto quasi pacificamente, cominciarono a scannarsi a vicenda. Episodi da far rabbrividire ve ne sono in abbondanza, ma la cosa atroce fu che vi fu un’alternanza al potere, in altre parole c’era sempre qualche cosa, più o meno abominevole, da vendicare. Entrambe i popoli non sono ricchi, la ricchezza del sottosuolo non compete a loro, quindi ad un momento dato, quando la guerra infuriava, si risparmiavano le pallottole, e le uccisioni, così come le sentenze, venivano eseguite a colpi di “panga”, una sorta di machete locale.
Nel ’96 il Rwanda era stato “pacificato”, quindi bande di ribelli di entrambe le etnie, scorazzavano per il paese commettendo gli atti più ignobili e sanguinari. Non era raro incontrare, lungo la strada, un autobus di linea bruciato, o lanciato in un dirupo, quanto a saper del destino dei passeggeri, questo era ben altra cosa. Il Burundi era invece in piena guerra, ed al momento la fazione vincente erano i Tutsi, quindi tutti gli altri erano terroristi; dalla pacifica popolazione, che è sempre quella che soffre di più, ai terribili Banyamulenge, guerriglieri che avevano passato la frontiera con il Congo, e da lì, tra un eccidio e l’altro, si stavano riorganizzando.
Erano presenti, ovviamente, numerose truppe delle Nazioni Unite, e tra queste conosciamo una dirigente Napoletana, membro dell’HCRNU, addetta a consegnare gli aiuti internazionali alle popolazioni sofferenti, alla quale poniamo qualche domanda.
-Dottoressa, cosa ricorda di quegli anni?
-La sopraffazione. Chiunque avesse un coltello se ne approfittava e vessava chi non ce l’aveva. Chi aveva un fucile lo faceva con chi aveva solo un coltello, e via dicendo. Il tutto per rubare un paio di scarpe, piuttosto che il classico tozzo di pane.
-Si è mai sentita in pericolo, ha mai temuto per la sua incolumità?
-Qualche volta, soprattutto quando andavamo in zone calde, in missione. Ha visto quei semicingolati? Sono i nostri mezzi, non hanno cannoni né armi di sorta. Siamo completamente alla mercè dell’esercito che ci dice cosa fare e dove aspettare, mentre magari loro, armi in pugno, riprendono alla popolazione quello che abbiamo appena dato.
-Ha fatto presente questa situazione?
-è inutile – risponde con un leggero sorriso – siamo solo delle pedine, e facciamo quello che ci dicono.
Non sento rassegnazione né dolore nelle sue parole. Il cinismo della quotidianità ha vinto sull’umanità della persona civile catapultata in queste realtà “limite”, cosa che purtroppo succede, come una difesa naturale, troppo spesso, e si finisce per ritenere normale ciò che di normale non ha proprio niente.
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