Riders in corsa per il lavoro (prima parte)
A chi di noi non è mai capitato, durante i giorni di quarantena, di ordinare cibo a domicilio con un servizio di Delivery? I più famosi sono senz’altro Just Eat, Uber Eats e Deliveroo.
E sicuramente molti giovani hanno avuto la loro prima esperienza lavorativa proprio con uno di questi servizi, mettendo a disposizione le proprie energie e i propri mezzi di trasporto per una di queste grandi piattaforme digitali.
Questo tipo di lavoro viene generalmente considerato parte della cosiddetta Gig Economy, l’economia “dei lavoretti”: un settore che solo nell’ultimo anno, in Italia, si stima abbia dato occupazione full-time a più di 150000 persone. Ma c’è un problema.
Come tuti i settori legati al digitale e alle nuove tecnologie, i servizi Delivery sono stati a lungo in balia di un vero e proprio vuoto normativo, una totale assenza di regolamentazioni che, se da un lato ha consentito alle piattaforme di prosperare, dall’altro ha lasciato i lavoratori privi di tutele. Ed è questa una delle motivazioni principali dietro le recenti proteste, fattesi particolarmente accese durante la pandemia, ovvero quando la domanda è cresciuta a dismisura.
Ma cos’è che chiedono i riders?
Non tutti la stessa cosa. Gli scioperi, è vero, ruotano intorno a un unico tema: la differenza tra lavoro autonomo e lavoro subordinato. Si tratta di due fattispecie differenti. Il lavoratore autonomo è colui che organizza il proprio lavoro in autonomia, senza un vincolo di subordinazione. In poche parole, il lavoratore autonomo non dipende da nessuno, è lui che sceglie quando, dove e come lavorare.
Il lavoratore subordinato, invece, sottostà alla direzione dell’imprenditore e, di solito, il rapporto di lavoro subordinato prevede una certa durata nel tempo, una paga oraria fissa, una copertura previdenziale. Insomma, l’imprenditore deve garantire al dipendente il rispetto di tutti i diritti protetti dalla Costituzione e dalla legge: diritto alla salute, al riposo, a una retribuzione equa e sufficiente. Dunque, è facile capire quale dei due contratti sia più conveniente per le grandi piattaforme.
Non è un caso che il 15 settembre 2020, AssoDelivery, associazione che include Just Eat, Uber Eats, Deliveroo e simili, abbia firmato un contratto collettivo nazionale con UGL; un contratto che qualifica il rapporto di lavoro tra associazioni e riders proprio come lavoro autonomo.
Per farla breve, i servizi Delivery ribadiscono che i fattorini non sono loro dipendenti, ma semplici lavoratori autonomi che, in tutta libertà, decidono quando lavorare e per quanto tempo. Un contratto conveniente per i datori di lavoro, ma che presenta due criticità. La prima, come ribadisce l’articolo 10, è che i lavoratori sono pagati a cottimo, cioè sul totale delle consegne effettuate. Non è esattamente come previsto dal ministero e più volte ribadito dalla Corte di Cassazione. Il pagamento a cottimo, infatti, per la Corte può solo essere integrativo, inteso come un aumento della paga ordinaria, ma non come una sostituzione di quest’ultima.