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Presentazione Napoli 1990-2050. Dalla deindustrializzazione alla transizione ecologica, A cura di Attilio Belli

Scritto da Attilio Belli Il . Inserito in A gamba tesa

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Vorrei sottolineare subito alcuni aspetti del carattere del libro, che lo fa diverso dai tradizionali libri della ricerca universitaria, anche se tra gli autori ci sono non pochi docenti universitari. È diverso per un’identità degli autori connessa ad una variegata collocazione nella società e nei saperi, che vorrebbe essere una espressione della cittadinanza attiva, quella cittadinanza attiva che nella sua più ampia dimensione si vorrebbe sostenere per costruire una visione della Napoli volta alla transizione ecologica. Autori che sono stati da me cercati, inseguiti, sollecitati.

Il libro adotta una logica strategica, proponendosi di considerare i punti di debolezza e di forza della traiettoria seguita dalla città nei trent’anni trascorsi. Uno dei principali punti di debolezza, quello costituito dalla vicenda Bagnoli, è affrontato proponendo più interpretazioni, anche per fornire indicazioni a sostegno di un’azione che tenti finalmente di uscire dallo stallo. Tra i punti di forza è il rilievo che il libro attribuisce alla ricerca, all’educazione, alla cultura, con le molte iniziative attivate sul territorio.

Il libro ha cercato di leggere Napoli come società glocale, in una dimensione allargata, che non si rifugia nella dimensione locale. Mi piace sintetizzare questo concetto con le parole di Andy Merrifield, che è un noto geografo inglese, scrive Merrifield “…la città ha bisogno di essere considerata globalmente perché l’urbanizzazione è globale, mossa dal capitale finanziario transazionale. D’altra parte, in questa lotta globale, la città è la chiave, ma solo se è considerata nel senso più ampio del termine, alla sua scala territoriale più ampia”.

Per tentare di fare questo, il libro offre uno sguardo su due trentenni: dal 1990 a oggi e da oggi al 2050. E se per l’Europa i 30 anni dopo la fine della guerra sono passati alla storia come i Trenta Gloriosi, secondo la definizione francese (Jean Fourastié), inizialmente l’impostazione del libro proponeva per Napoli l’interpretazione di Trenta (In) gloriosi. Ma l’approfondimento delle tante iniziative attive nel campo culturale, dell’educazione, della formazione ha indotto ad una valutazione più articolata.

I riferimenti temporali adottati (1990, 2050) sono legati in generale, il primo, il 1990, alla fase nella quale l’Italia entra nella cosiddetta “trappola dello sviluppo intermedio”, nella formulazione coniata da Viesti, quando si muove in ritardo nei confronti del Nord rispetto all’innovazione ed è perdente nei confronti dell’Est per i costi di produzione. Questo avvio della fase della deindustrializzazione a Napoli è segnalato emblematicamente dalla chiusura dell’Italsider e dalla incapacità amministrativa di avviare una prospettiva di produzione innovativa ambientalmente compatibile, quella prospettiva che comincerà a emergere positivamente, ma con grande ritardo, per iniziativa dell’Università con il polo universitario di San Giovanni.

E il secondo, il 2050, è legato alla data simbolo individuata dagli accordi di Parigi per una transizione ecologica capace di contenere il riscaldamento ambientale. E tenendo presente che la transizione ecologica va governata con attenzione perché non crei ingiustizie, non incorrendo nel pregiudizio che l’innovazione di per sé generi un impatto sociale positivo e garantisca sostenibilità inclusiva. E considerando, poi, che non c’è transizione ecologica se non è sostenuta da buone relazioni industriali, per gestire le ristrutturazioni ineludibili che comporterà. Cercando in particolare che le proposte possano riuscire a conciliare effettivamente una transizione ecologica con la crescita economica. Evitando di continuare a investire in cose che –finiscono per portarci inconsapevolmente a “segare il ramo sul quale siamo seduti”, come ha affermato icasticamente l’ex ministro francese dell’ecologia Batho.

Il 2050 è anche quel “passaggio al nuovo mondo” che Paolo Perulli suggerisce di valutare con attenzione come prospettiva possibile (e forse inevitabile) per una città europea che voglia misurarsi con i grandi movimenti in essere nella sponda sud del Mediterraneo.

Ci si propone di far seguire a questa presentazione una serie di incontri organizzati per temi e in riferimento a specifici luoghi urbani per tentare l’avvio di un di dibattito pubblico duraturo di discussione e di proposte. E valutare se e in che modo realizzare una sorta di Osservatorio sulla Napoli futura per costruire una visione della città a partire dalla cittadinanza attiva.

E lo intende fare con la consapevolezza che una visione adeguata non s’inventa, va costruita collettivamente attraverso un dibattito pubblico con l’apporto di contributi diversi della società e dei saperi. Serve uno sforzo corale che muova da alcuni assunti di base.

Napoli è una grande città europea sul Mediterraneo, che deve combattere con l’eredità del passato trentennio e in più deve raddrizzare urgentemente la finanza e cominciare a garantire una normale manutenzione della sua struttura fisica.

Come orientarsi quindi? L’European Spatial Planning Observation Network (ESPON) la rete di osservazione della pianificazione spaziale europea -– finanziato con i Fondi strutturali --suggerisce di prestare attenzione all’area funzionale mediterranea che include 8 stati membri dell’UE (compresa l’Italia) e i paesi del Nord Africa dal Libano al Marocco. Un’ attenzione che deve muovere dalle funzioni logistiche, dalle questioni energetiche, dai cambiamenti climatici, dall’ambiente marino, dal fenomeno migratorio. Con selezionati progetti sperimentali in territori chiave che   ESPON si dispone a discutere e sostenere.

Da parte sua il Consiglio dell’Unione Europea si è mosso con l’obiettivo di un rafforzamento del vicinato con i 10 paesi della sponda sud del Mediterraneo e per il 2021-27 si è proposto di attivare finanziamenti per sette miliardi di euro, capaci di mobilitarne altri trenta pubblici e privati. Muovendosi così con un’Agenda per il Mediterraneo basata su 5 settori d’intervento che ha al centro transizione digitale, energia, transizione verde, resilienza climatica e ambiente. E che vede il Mediterraneo in prima fila per i cambiamenti climatici (inondazioni, siccità, incendi devastanti, maree, inquinamento dell’aria).

In rapporto alla costruzione di una visione della città metropolitana che muova da questi assunti, l’amministrazione locale deve cominciare a fare passi impegnativi con la costruzione di un vero piano strategico della Città metropolitana, ben lontano dalla visione semplicistica seguita dalla passata amministrazione di frammentati progetti raccolti nei comuni, verso un modello interazionista che nelle arene e nei fori da attivare si proponga di organizzare le razionalità dei diversi attori coinvolti con la esplicitazione anticipata e pubblica degli interessi, dei costi e benefici delle azioni che vengono promosse, riducendo così gli spazi di negoziazione occulta.

Occasione decisiva per affermare la città come uno degli anelli principali di congiunzione tra Europa e Mediterraneo, con la valorizzazione della propria vitalità culturale e scientifica, complesso laboratorio d’integrazione sociale.