L’ultima occasione per il Partito Democratico
Ve lo confesso, sono infastidita, delusa, arrabbiata. Non lo do a vedere, preferisco nascondermi dietro ad un’autoironia su cui ho lavorato moltissimo negli anni. Per cui, se mai mi nominaste il Qatar o il Marocco, e lo farete, lo avete già fatto, vi risponderò con una battuta, e ci riderò anche io.
Vedete, io a 18 anni nemmeno immaginavo che mi sarei tesserata ad un partito, che avrei militato, che avrei pianto e gioito per vittorie e sconfitte collettive. Non lo sapevo. E poi è capitato. E quando decido che una cosa è giusta divento testarda, mi ci butto dentro con determinazione e con una passione totalizzante che non auguro a nessuno.
La militanza politica, le ragioni della Sinistra, per me sono diventate negli anni più importanti del mio stesso futuro. Che cosa poteva contare la mia vita individuale rispetto ai diritti sociali e civili di tanti? Niente, potevo sacrificare tutto.
E questo aveva conseguenze devastanti, perché tra le cose di cui ero e sono fermamente convinta è che per essere credibile, prima di tutto a me stessa, dovevo diventare finanziariamente autonoma. Dovevo comunque studiare e lavorare, insomma, far sì che le mie scelte fossero sempre veramente mie.
Militare, studiare e lavorare hanno significato spesso una sola cosa: non rimaneva tempo per niente altro.
Credetemi, tra le file dei Giovani Democratici prima e poi del Partito Democratico, ho conosciuto moltissimi che si comportavano esattamente come me. No, non era tutto perfetto, le crepe ci sono sempre state. Ma noi ci credevamo, eccome se ci credevamo. E abbiamo sacrificato tanto. Alcuni tutto.
Quasi tutti abbiamo avuto piena fiducia nel “progetto” Europa, il PSE, poi, rappresentava il livello più alto, quello capace di risolvere i nodi, per competenze tecniche e per contaminazione, che gli Stati Nazionali non erano in grado di fare.
Questo è. E Ve lo racconto, partendo dalla mia personale esperienza, perché il PD ha una comunità di militanti e simpatizzanti a cui va portato rispetto. Prima di ogni altra considerazione.
Ma torniamo all’oggi. Si è scoperto che alcuni membri del PSE hanno ricevuto soldi, tanti soldi, per modificare l’opinione e le politiche su alcuni Stati extraeuropei ove erano in corso gravi violazioni dei diritti umani. Tutti i dettagli, sviscerati fino alla noia e in costante aggiornamento, sono disponibili sui principali giornali, per cui non mi dilungherò.
Non mi viene in mente niente di più grave.
Oltre i reati, di cui si occuperanno gli organismi preposti e su cui non ho alcuna competenza, vi è il tradimento. Quello assoluto, verso tutto quello in cui ho, abbiamo, creduto. Un tradimento verso la tanto citata “Questione Morale” e verso la Politica.
E no, non è stato un fulmine a ciel sereno. Assolutamente.
È successo perché pian piano le cose si sono trasformate, quando, ad esempio, ci hanno detto che il finanziamento ai partiti non serviva, anzi era dannoso, e abbiamo permesso che lo abolissero, quasi vantandocene, abbiamo chiuso la porta a chiunque non provenisse già dal “Sistema”, a chi non avesse la forza “social” ed economica per emergere.
Ma ci siamo illusi che non fosse così. Mica potevo raccontarmelo chiaramente che non avrei mai e poi mai avuto i soldi per affrontare una campagna elettorale?
Vi starete chiedendo cosa c’entra la “questione morale” con quella politica del finanziamento pubblico. Tutto. O quasi tutto.
Per quanto mi riguarda la politica deve perseguire un solo bene, e cioè quello pubblico per cui non può essere finanziata da Lobby e sistemi di poteri, anche da quelli legittimi, o comunque se ne deve limitare significativamente la possibilità. La politica non può essere economicamente influenzata.
È accaduto quando abbiamo deciso di essere per l’ennesima volta la stampella di Governi tecnici o di Amministratori Tecnici, trasformando la provenienza politica, la nostra stessa militanza, in una colpa e non più in un valore, quando l’agenda del tecnico di turno è diventata la nostra. Senza se e senza ma. Ma perché poi?
È successo che abbiamo finito col trasformare il sogno dell’Europa in una rincorsa a Patto di Stabilità e Politiche di Austerity. Con frasi del tipo “Lo vuole l’Europa”, “Ce lo chiede l’Europa”. Non è stata una scelta nostra, non sempre almeno, l’abbiamo subita in larga parte poiché il nostro partito di riferimento non era maggioranza. Ma non abbiamo saputo trasmettere veramente quale e quanto fosse il nostro disagio verso certe scelte.
E poi, abbiamo deciso di ridurre ancora gli spazi della democrazia, prima eliminando il voto diretto per province e città metropolitane, e poi tagliando il numero di Deputati e Senatori. E affidando l’elezione a una legge elettorale brutta e contorta, che in apparenza non sta bene a nessuno, ma che sotto sotto ad alcuni piace, perché lascia alle segreterie dei Partiti (e Movimenti) piena scelta su chi verrà eletto. Un sistema che finisce col fondarsi sulla fedeltà al Capo. E no, non è un attacco a quanti sono stati eletti, troppo semplice e di memoria corta. Lo è in maniera generica a quanti si sono affidati alla roulette russa della fedeltà piuttosto che a quella del consenso popolare.
Insomma, la Sinistra, ma non solo, i Partiti in generale, hanno perso la loro centralità, la forza propulsiva, la capacità di coinvolgere, distruggendo, pezzo dopo pezzo, la democrazia.
E noi in particolare abbiamo anche rinunciato a quello che doveva essere la finalità del Partito Democratico, Un partito plurale, di Sinistra, capace di coniugare impresa, sviluppo e tutela dell’ambiente alla necessità di tutelare il lavoro e i lavoratori. Abbiamo messo da parte, ed è l’accusa che sento muovere più spesso, i diritti sociali, la lotta alle diseguaglianze e al lavoro povero, in favore dei diritti civili, tuttavia non risultando totalmente incisivi nemmeno lì.
Che fare?
Se in questi mesi riusciremo a costruire un’alternativa, se riusciremo a sentirci ancora una volta parte di qualcosa non tutto sarà perduto. Ma con la consapevolezza che dobbiamo cambiare davvero. Mica ho detto che sia facile, ma la gente di Sinistra è così, testarda.
Il prossimo congresso è forse l’ultima occasione che avremo. Dobbiamo metterci in discussione, e sento che ancora non lo abbiamo fatto sul serio. E partire anche da una profonda riflessione delle riforme che vorremo, senza cedere a populismi, ripartendo dalle fondamenta.
La risposta ad una grande crisi come quella attuale deve essere straordinaria, coraggiosa.
Possiamo cominciare intestandoci la necessità di una legge ordinaria che supporti e interpreti l’Art. 49 della Costituzione (Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale) e la battaglia per reintrodurre il finanziamento pubblico ai partiti.
E poi, continuare con la proposta di una Riforma degli enti locali abolendo l’elezione di secondo livello per le province e città metropolitane, magari estendendo l’elezione del Sindaco della Città Metropolitana a tutti i cittadini dell’area e non solo del “Capoluogo”, senza aspettare che ci si fornisca negli anni di Statuti e Regolamenti.
Occorre poi che il Partito Democratico si doti col congresso di nuovo di una sua identità, in termini di impresa, sviluppo, ambiente, transizione digitale, lavoro, salute, Sud, diseguaglianze, pari opportunità, diritti civili, Europa, politica estera e molto altro sulla quale scrivere la propria agenda.
Infine, Il congresso deve avere l’ambizione di risolvere un’altra questione che, a mio avviso, ha reso debole il Partito Democratico, la difficoltà nel riconoscere leadership femminili e nel riservare poco o pochissimo spazio a leader provenienti dal Mezzogiorno. Solo così il Partito Democratico potrà riprendersi e, soprattutto, essere utile per l’Italia. Io ci spero.