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Il sud di Bersani

Scritto da Leonardo Impegno Il . Inserito in A gamba tesa

Sono state elezioni primarie vere. Sapete che rifuggo dalla propaganda ma erano anni che non riuscivo ad esprimere, come oggi, con nettezza e convinzione, un giudizio nell'insieme positivo sul Partito Democratico. Certo si può e deve fare ancora meglio ma il PD si è dimostrato l’unica grande forza politica, credibile, nel panorama politico italiano. La sola in grado di reagire all’antipolitica inconcludente, favorendo la partecipazione e mettendo “in piazza” le sue idee e i suoi uomini.

Oltre tre milioni di persone hanno votato alle primarie. Non vi sono state contestazioni rilevanti e alle disfunzioni organizzative e alla eccessiva burocratizzazione delle procedure, i cittadini hanno risposto con passione, comprensione e pazienza.
Per questo le parole offensive di Grillo sulle primarie non solo sono la limpida testimonianza del disprezzo che il comico ha rispetto a una ordinata giornata di democrazia, ma anche del terrore che essa possa rappresentare un’ inversione di tendenza nell’opinione pubblica: la disperazione e lo schifo (giustificato) per una certa politica potrebbero trasformarsi in richiesta di buona politica.
Nel merito del voto, in estrema sintesi, Bersani vince quasi ovunque ma di più al sud, Renzi va meglio al Nord e, nelle regioni cosiddette rosse, l’apparato ha contato ma fino ad un certo punto mentre nel mezzogiorno c’è stata una minore affluenza e ciò comporta una serie di riflessioni.
La prima: sono d’accordo con il filosofo Biagio De Giovanni quando afferma << Nel sud gli elementi di lontananza dalla politica organizzata sono più evidenti che altrove>> ed io aggiungo che è proprio per questo motivo che qui si pone, più che in altra parte, il rinnovamento delle sue classi dirigenti. Inoltre il successo di Bersani al sud è legato più al suo messaggio di sicurezza e solidità che agli apparati burocratici, i quali hanno potuto “spronare”(tranne rare eccezioni) un elettorato già avvertito, fosse esso orientato per Renzi o per Bersani.
La seconda: ha ragione Renzi, bisogna abituarsi ad entrare nel merito e a discutere su cosa significhi oggi “essere di sinistra” al di là dei luoghi comuni e di una generica esortazione al “dì qualche cosa di sinistra”. Il mondo è cambiato e non si possono usare i vecchi arnesi per interpretare e dare adeguate risposte ai nuovi problemi sia economici che sociali. Il linguaggio chic di una certa sinistra degli anni settanta non solo non è utile a capire e dare risposte ma è diventato noioso e per certi aspetti fastidioso.
Questo comporta un’ attenta gestione della campagna elettorale per il ballottaggio. Non bisogna rivolgersi agli elettori in maniera generica magari facendogli annusare un po’ di “profumo di sinistra”. I candidati non debbono orientare solo i 650 mila che non li hanno sostenuti alle primarie. Sarebbe un errore grave, devono rivolgersi a tutti, a tutto il Paese perché il ballottaggio non è un'altra partita ma un altro “gioco” che ci prepara alla sfida vera.
Ultima osservazione: Bersani vince -e mi auguro che vinca il ballottaggio- perché è un leader credibile, sobrio e con un progetto politico in grado di aggregare un’ alleanza capace di cambiare il Paese. E’ consapevole, inoltre, che ciò possa avvenire partendo dal sud inteso come risorsa e non come zavorra.