L’onestà e la sfida politica: De Magistris condannato ad un anno e tre mesi
Il sindaco di Napoli viene condannato in primo grado ad un anno e tre mesi di reclusione con sospensione condizionale, con sentenza emessa dalla X sezione del tribunale di Roma presieduta da Rosanna Ianniello: De Magistris e Giacchino Genchi dovevano rispondere di abuso d’ufficio in relazione all’indagine del 2006 denominata “Why Not”, con riferimento in particolare all'acquisizione di tabulati telefonici effettuata senza le necessarie autorizzazioni.
Le utenze erano quelle di diversi parlamentari, tra cui Clemente Mastella, Marco Minniti, Francesco Rutelli e l’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi. De Magistris non nasconde lo sgomento e la delusione per quello che, contrariamente a quanto richiesto dalla pubblica accusa, è stato deciso in primo grado: “In Italia, credo, non esistano condanne per abuso di ufficio non patrimoniale. Sono stato condannato per avere acquisito tabulati di alcuni parlamentari, pur non essendoci alcuna prova che potessi sapere che si trattasse di utenze a loro riconducibili. Prima mi hanno strappato la toga, con un processo disciplinare assurdo e clamoroso, perché ho fatto esclusivamente il mio dovere, dedicando la mia vita alla magistratura, ed ora mi condannano, a distanza di anni, per aver svolto indagini doverose su fatti gravissimi riconducibili anche ad esponenti politici".
Chi di giustizia ferisce, di giustizia perisce, sospirano i più cinici osservatori. I forzisti, freschi dell’assoluzione del “capo”, inneggiano alle dimissioni del sindaco. A sinistra, si fa per dire, il fronte anti-De Magistris si è prontamente ricompattato: garantisti si, ma con moderazione. Si sa, siamo in Italia e nulla più desta meraviglia: gli anni della difesa ad oltranza, dell’attacco a reti unificate ai magistrati è finito da un pezzo, con buona pace di qualche strampalato radicale sopravvissuto al duo Bonino-Pannella. È pur vero che la deriva dell’amministrazione comunale napoletana è tutta politica, e non giudiziaria. Di fronte alla straordinaria complessità della realtà napoletana sono emersi tutti i limiti che in molti avevano intravisto già otto anni or sono, quando De Magistris era pubblico ministero a Catanzaro. È sul piano politico, quindi, che si attendono le dovute prese di coscienza da parte dell’attuale sindaco di Napoli: quando una linea politica è ontologicamente intrisa di rivendicazioni di “onestà e purezza”non ci si può consentire alcuna sosta.
L’azione di sciacallaggio e contro-sciacallaggio a cui stiamo assistendo, però, è figlia di un sentimento cresciuto nel corso degli anni in modo trasversale alle opinioni politiche: nessuno è pulito in questo maledetto Paese. Anche questo, forse, paga oggi Luigi De Magistris. Alla assuefazione verso ciò che di illegale circonda gli uomini di governo, si è legata progressivamente la tentazione malsana di sdoganare la logica del sospetto: è nient’altro che l’altra faccia della stessa medaglia. “Giustizialismo”, dicono i più furbi: classico esempio di come il nuovo vocabolario si rispecchia nella “neolingua” di matrice berlusconiana descritta da Gustavo Zagrebelsky. Eppure quella sensazione di fastidio la proviamo tutti: se l’onestà si è ridotta ad essere la credenziale unica del “buon politico”, siamo tutti chiamati a cambiare le carte in tavola. È una sfida culturale e politica che, ad oggi, anche il Pd sembra non essere in grado di affrontare