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Quale futuro per la regione Campania

Scritto da Antonella Ciaramella Il . Inserito in A gamba tesa

futuro Campania

Nessun interrogativo prescinde da chi se lo pone, e dal momento in cui se lo pone. Se l’interrogativo è quello del titolo e a pormelo fossi io, non potrei non considerare l’estremo pudore che provo di fronte al concetto di verità e alla consapevolezza che nessuno può annoverare a sé e solo a sé la soluzione o la ricetta per il “futuro migliore” che attendiamo da quando ne abbiamo memoria.

Con questo voglio semplicemente dire che mi sentirei alquanto ridicola a elencare per l’ennesima volta quali e quante sono le potenzialità, le possibilità, gli scenari di sviluppo di questa Regione, perché di roboanti dichiarazioni, di scintillanti programmi e di acclamate convention ne sono piene le tv, la rete e i cassetti, mentre di esperienze concrete realizzate e messe a sistema un po’ meno.

Quello che si dovrebbe fare lo sappiamo tutti, la discriminate è il come e il farlo sul serio. Per questo il secondo aspetto, quello del tempo, ovvero il momento in cui affrontiamo la questione, assume un valore ancor più determinante.

Essendo oggi quel tempo, mi aspetterei che chi ha già avuto ruoli di responsabilità e di indirizzo dicesse, oggi appunto, non certo quello che si dovrebbe fare ma cosa non ha funzionato. Mi aspetterei che dicesse quali sono stati i corto circuiti, al di là di quelli propagandistici, che hanno fatto naufragare tanti bei programmi e quali sono i problemi che impediscono alle pur esistenti esperienze positive messe in atto di passare da singolo successo, a leva di sviluppo per un sistema più ampio. Così come chi oggi si candida a governare e non a fare opposizione, non può prescindere dalla realtà nella quale e con la quale si troverà a lavorare.

Non nascondersi o manipolare i dati reali è indispensabile per capire dove si può arrivare nel breve termine e cosa, invece, richiede di essere cambiato con impegno costante nel medio lungo periodo per raggiungere obiettivi più elevati. Per intenderci, Bagnoli è di nuovo sotto sequestro: ebbene, non si può dire che le troppe regole imbrigliano l’azione e nello stesso tempo che togliere le regole è un’azione distruttiva, per ritrovarci distrutti noi stessi! È evidente che esiste un impianto normativo inadeguato, che bisogna ammodernarlo ma che, contemporaneamente, bisogna programmare con le regole che abbiamo (Genova docet).

Mi spiace se i fans della real politik storceranno il naso, ma ritengo che la politica dei soli numeri abbia fatto il suo tempo, che la teoria del separatismo (fasullo) tra burocrazia e politica abbia fatto il suo tempo e che se è vero, come è vero, che il risultato dei “numeri” ha portato a tanti successi personali ma ad altrettanti fallimenti territoriali, la politica di oggi nel porsi l’interrogativo iniziale debba anche misurarsi con le proprie competenze. Serve una politica che sappia non solo mietere consensi grazie all’empatia, alla dialettica, alla credibilità della sua storia ma anche che conosca il funzionamento delle amministrazioni, del mercato e delle evoluzioni sociali, e che si metta a studiare e a confrontarsi laddove non sa.

Su un punto la real politik ha ed avrà sempre ragione: chi può mai credere che un qualsiasi progetto di sviluppo possa realizzarsi se a condividerlo non sia anzitutto il vertice, ovvero il Presidente che sarà, e i suoi interlocutori nazionali?

E allora, un indizio verso la risposta al nostro atavico interrogativo sarà già insito nel chi sarà candidato a rivestire tale carica e nel processo più o meno traumatico con cui lo si individuerà.