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L’Agenzia per la Coesione Territoriale

Scritto da Amedeo Lepore Il . Inserito in A gamba tesa

coesione

L’Agenzia per la Coesione Territoriale è stata istituita con l’idea di farne uno strumento per migliorare e accrescere notevolmente i risultati nell’impiego dei fondi strutturali europei e dei finanziamenti nazionali per lo sviluppo. Queste risorse, nel corso delle precedenti esperienze di gestione, sono state in gran parte dissipate, indirizzandole verso una congerie d’iniziative a pioggia, o in certa misura non sono state neppure utilizzate, a causa delle inefficienze e incapacità delle Regioni, oltre che per effetto di procedure europee troppo lunghe e macchinose.

Con la legge n. 125 del 30 ottobre 2013, recante “disposizioni urgenti per la razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni”, è stata disciplinata anche l’Agenzia, fissandone la partenza al 1° marzo 2014. Tuttavia, il passaggio da un governo all’altro e la mancata emanazione dei regolamenti attuativi, insieme con altri ritardi, non hanno permesso di rispettare quella scadenza. L’annuncio dell’inizio dell’attività effettiva della nuova struttura, ripetuta da ultimo in questo inizio di novembre, tuttavia, si scontra con alcuni problemi ancora irrisolti, di non poca portata. Innanzitutto, con le modifiche al testo di legge, intervenute nel corso della discussione parlamentare, si sono introdotti alcuni elementi peggiorativi, a cominciare dal ruolo ambiguo di Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, che sembra vesta i panni di un concorrente in casa dell’Agenzia per la Coesione Territoriale, in particolare per quanto riguarda l’assegnazione dei poteri di gestione. A questa limitazione dell’autonomia della nuova struttura, si sono aggiunti la composizione del Comitato direttivo come espressione degli apparati ministeriali e regionali, il mancato reclutamento di una nuova leva di valide competenze e le successive incertezze di percorso, che hanno reso sempre più evidente un pericolo di burocratismo e di sostanziale svuotamento dell’Agenzia rispetto alle esigenze di una nuova strategia per lo sviluppo produttivo del Mezzogiorno.

L’elemento paradossale non è solo quello della concorrenza dei poteri con Invitalia, ma anche quello dell’attribuzione, all’interno dell’Accordo di Partenariato, del ruolo d’interlocuzione con le istituzioni europee al Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Territoriale (DPS), anziché all’Agenzia. A questo inutile – dato che il DPS è stato privato di funzioni e personale, interamente spostato all’Agenzia stessa – e non ancora rimediato vulnus, vanno aggiunti l’assenza della nomina dei rappresentanti degli apparati pubblici, delle Regioni e degli Enti locali nel Direttivo, il mancato completamento delle procedure di trasferimento del personale, la carenza dei regolamenti attuativi. Rispetto al disegno originario e alla coraggiosa proposta della SVIMEZ, che affidava compiti ancor più pregnanti all’Agenzia, vi è il pericolo concreto di realizzare un ennesimo Ente di coordinamento, con soli compiti di monitoraggio e di controllo dell’azione di spesa dei fondi nazionali ed europei per la coesione e lo sviluppo. In questo modo, anche la novità più pregnante della riforma, che è rimasta nel testo di legge definitivo, l’assegnazione di poteri sostitutivi all’Agenzia (e, con lo “Sblocca Italia”, alla Presidenza del Consiglio), in una logica di moderna sussidiarietà verticale e non solo orizzontale, rischia di essere vanificata.

Il governo, che sta fornendo primi segnali positivi al Mezzogiorno e al Paese sul versante delle politiche di sviluppo, a cominciare dalla realizzazione di una task force europea per gli investimenti e dall’impegno che sta conducendo il Ministero dell’Economia per l’attuazione di alcuni progetti concreti di grande valore, dovrebbe prestare la necessaria attenzione al completamento effettivo del processo di formazione dell’Agenzia per la Coesione Territoriale, modificando le palesi incongruenze finora emerse e manifestando una piena coerenza sul piano delle riforme necessarie per il Sud. A questo capitolo, andrebbe aggiunta la vicenda dell’Accordo di Partenariato, che, varato solo recentemente a livello europeo, ha visto accumularsi già seri ritardi nella programmazione delle risorse europee e operare significativi accantonamenti nei cofinanziamenti nazionali, con una logica di tipo prevalentemente contabile. Infine, nel mentre si continua a seguire questa importante partita dei fondi strutturali, bisognerebbe non dimenticare, però, la necessità di affiancare all’intenso sforzo di riforma costituzionale in corso una rivisitazione del ruolo delle Regioni, che soprattutto nel Sud, ma oramai anche nel resto del Paese, hanno prodotto esiti fallimentari. Riprendere l’idea di Giorgio Ruffolo della formazione di nuove macroregioni, in grado di superare la frammentazione attuale e di contribuire a rinsaldare l’unità del Paese, l’efficienza e l’efficacia delle sue istituzioni, può rappresentare un’altra frontiera di grande valore per un impegno nazionale e meridionalista.