Napoli e la Campania in piazza con la Cgil: cortei e presidi contro i blocchi della Flotilla e a sostegno della Palestina

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Oggi la Cgil è scesa in piazza in Campania con una serie di manifestazioni che hanno coinvolto tutti i capoluoghi di provincia. La mobilitazione, indetta dal sindacato per protestare contro gli arresti e il blocco delle navi della Global Sumud Flotilla da parte delle forze armate israeliane, ha visto sfilare migliaia di persone per ribadire solidarietà al popolo palestinese continua la lettura….

Le Quattro Giornate: la resistenza che rese Napoli libera

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Dal 27 al 30 settembre 1943 Napoli scrisse una delle pagine più straordinarie della Resistenza italiana ed europea. In quei quattro giorni, passati alla storia come Le Quattro Giornate di Napoli, il popolo partenopeo insorse contro le truppe tedesche, riuscendo – senza l’aiuto diretto degli Alleati – a liberare la città dall’occupazione nazista continua la lettura….

La legittima difesa (8). Legittima difesa e Costituzione: diritti in conflitto?

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La legittima difesa (8). Legittima difesa e Costituzione: diritti in conflitto?

di Luca Orlando

 

La Costituzione è il cuore giuridico di un Paese. 

Ne incarna i valori, ne regola gli equilibri, ne custodisce la coerenza. 

Ma come ogni cuore, anche la nostra Carta ha battiti che talvolta si fanno dissonanti. 

 

Uno di questi riguarda proprio la legittima difesa. 

Perché, se da un lato c’è il diritto inviolabile alla sicurezza e all’autodifesa, dall’altro ci sono diritti altrettanto fondamentali: il diritto alla vita, alla proporzionalità della pena, al rispetto della persona, persino quando è colpevole.

 

L’articolo 13 della Costituzione sancisce che la libertà personale è inviolabile

L’articolo 25 che nessuno può essere punito se non in forza di una legge. 

E poi c’è l’articolo 27, che afferma un principio tanto solenne quanto delicato: la pena deve tendere alla rieducazione. 

 

Tutto questo si scontra o, meglio, si interseca, con l’articolo 52 del Codice Penale, che legittima la difesa personale in presenza di un’offesa ingiusta e attuale.

Ma che succede quando chi si difende agisce in modo sproporzionato? 

Quando chi agisce lo fa colpito dal panico, senza valutare la reale entità del pericolo

 

Il diritto a difendersi, in quel momento, entra in collisione con i principi di equilibrio, ragionevolezza e proporzione che permeano la Costituzione. 

E in queste collisioni non c’è mai un vincitore chiaro.

Le Corti, italiane ed europee, si trovano spesso a giudicare casi in cui i diritti sembrano scontrarsi. 

Difesa della vita propria contro la tutela della vita altrui. 

Autotutela contro monopolio statale della giustizia

È una danza sottile, dove ogni passo giuridico ha riflessi profondamente umani.

 

Un esempio emblematico? 

La cosiddetta “presunzione di legittima difesa” introdotta nel 2019 per chi reagisce a un’intrusione in casa. 

Una norma pensata per restituire sicurezza a chi si sente indifeso tra le mura domestiche. Ma che ha sollevato dubbi sul piano costituzionale: può davvero lo Stato decidere che una reazione è “a prescindere” proporzionata, senza lasciare spazio alla valutazione concreta del giudice?

 

La Corte Costituzionale non si è ancora pronunciata in modo netto su queste modifiche, ma il dibattito è acceso. 

Perché in gioco non c’è solo la protezione del singolo, ma l’identità stessa del nostro ordinamento: uno Stato di diritto che non abdica mai al principio di equilibrio.

 

La verità è che la Costituzione non è fatta per legittimare gli istinti. 

È fatta per guidarli. 

Per ricordare che la giustizia non può diventare giustizialismo, che la paura non deve mai superare la ragione, che anche chi sbaglia ha diritti.

La legittima difesa (6). Quando la legge entra in casa: come è cambiata la legittima difesa domestica

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La legittima difesa (6). Quando la legge entra in casa: come è cambiata la legittima difesa domestica

di Luca Orlando

 

Non c’è luogo più sacro, più personale, più vulnerabile della propria casa. E forse per questo, quando si parla di legittima difesa, è proprio tra le mura domestiche che il dibattito diventa più acceso. “Posso difendermi se mi entrano in casa?” – una domanda semplice, che cela in realtà un oceano di sfumature giuridiche e morali.

 

Per molti anni, il nostro ordinamento ha chiesto una cosa precisa a chi reagiva a un’aggressione: la risposta deve essere proporzionata, necessaria, inevitabile. 

Ma come si misura la proporzione quando il panico bussa alla propria porta? È davvero possibile restare lucidi quando un’ombra sconosciuta si muove nel buio della propria casa?

 

Nel 2019, il legislatore italiano ha cercato di rispondere a questi interrogativi con una modifica dell’articolo 52 del Codice Penale. 

Da allora, chi reagisce a un’intrusione violenta o minacciosa in casa o sul luogo di lavoro gode di una “presunzione legale” di proporzione tra offesa e difesa. 

Una svolta, per molti. 

Un pericolo, per altri. 

Perché, se è vero che la norma tutela chi si difende, è altrettanto vero che rischia di essere interpretata in modo troppo ampio.

 

Il principio alla base della modifica è chiaro: nella propria abitazione, il cittadino non deve sentirsi costretto a scegliere tra farsi del male o finire sotto processo. 

Ma la giustizia, per sua natura, non può permettersi scorciatoie. 

Ogni caso è una storia a sé, ogni aggressione ha il suo contesto, ogni reazione il suo peso morale e giuridico.

 

Le procure, da parte loro, non hanno smesso di indagare. 

La presunzione di legittimità della difesa domestica non è una patente per sparare a vista. È un’indicazione, non un salvacondotto. 

Se un ladro disarmato fugge e viene colpito alle spalle, difficilmente si parlerà di legittima difesa. Anche dentro casa.

 

Questo equilibrio instabile tra diritto e paura, tra sicurezza e giustizia, si riflette ogni giorno nei titoli di cronaca. 

Famiglie terrorizzate, ladri sorpresi, reazioni istintive. 

E poi processi, sentenze, assoluzioni e condanne.

 

In tutto questo, la legge cerca di fare il suo lavoro: proteggere i diritti, punire gli abusi, capire gli errori. 

Ma la verità è che nessuna norma potrà mai contenere del tutto ciò che si prova quando il confine tra casa e minaccia si dissolve.

 

Difendersi resta un diritto. 

Ma anche dentro casa, la giustizia deve continuare a chiedere: era necessario? Era giusto?

La legittima difesa (7). Troppa difesa? Il confine sottile tra sicurezza e abuso

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La legittima difesa (7). Troppa difesa? Il confine sottile tra sicurezza e abuso

di Luca Orlando

 

C’è una linea invisibile che separa chi si difende da chi attacca. 

A volte quella linea è netta, inequivocabile: un rapinatore entra armato in casa tua, minaccia te e la tua famiglia. Reagisci, lo colpisci, sopravvivi. 

Nessuno dubita del tuo diritto. 

Ma altre volte, quella stessa linea si fa sfumata. 

Il ladro è disarmato

Sta fuggendo. 

Tu lo rincorri, lo affronti, magari lo ferisci. 

È ancora difesa? O è diventata punizione?

 

Questa domanda – che per un giudice si traduce in valutazione giuridica – per chi la vive è un attimo di caos, di paura, di rabbia. 

Quando la sicurezza personale viene violata, è istintivo reagire. 

Ma è proprio in quel momento che il diritto entra in gioco, chiedendo di distinguere tra necessità ed eccesso.

 

Il nostro ordinamento penale parla chiaro: l’uso della forza in legittima difesa è ammesso solo se è proporzionato all’offesa e se non vi è possibilità di altra via. 

Ma la realtà raramente si lascia incasellare così facilmente. 

Per esempio: una persona armata entra in casa tua e tu reagisci con un coltello da cucina. Scena tragica, ma comprensibile. 

E se invece quella persona è già in fuga? 

E se è stata messa in condizione di non nuocere più? 

In quel caso, continuare a colpire non è più difesa. 

È vendetta. 

E la legge non la tollera.

 

Proprio per evitare che i cittadini si trasformino in giustizieri, la normativa italiana mantiene l’attenzione sull’elemento della “necessità attuale”. 

Significa che si può reagire solo a una minaccia in corso, non a un torto appena subìto. 

Ma questo principio, nella pratica, è durissimo da gestire. 

Perché ogni aggressione ha un carico emotivo, ogni reazione è contaminata dalla paura, dalla sorpresa, dal senso di vulnerabilità.

 

La giurisprudenza è piena di casi al limite. 

Persone assolte perché hanno reagito sotto shock, incapaci di distinguere il pericolo reale da quello percepito. 

Altre, invece, condannate per aver infierito quando l’aggressore era già immobilizzato. 

Il giudice ha il compito ingrato di stabilire se il gesto è stato difesa o abuso. 

Una valutazione che oscilla tra il diritto e la psicologia.

 

Eppure, in un tempo in cui la percezione dell’insicurezza è in costante aumento, è forte la tentazione di allentare le maglie. 

Si invoca il diritto alla difesa “sempre e comunque”. 

Si chiede di poter reagire senza se e senza ma. 

Ma è davvero questo il modello di società che vogliamo? 

Una società in cui ognuno si arma per colmare il vuoto lasciato dalle istituzioni? 

Dove la paura legittima ogni reazione?

 

Il compito del diritto non è solo proteggere le vittime, ma anche prevenire che le vittime diventino carnefici. 

Per questo la legittima difesa non può trasformarsi in una licenza a colpire. 

Serve misura, comprensione, capacità di distinguere.

 

La linea tra sicurezza e abuso, oggi più che mai, è sottile. 

Ma è una linea che dobbiamo sforzarci di vedere. 

Perché una difesa che dimentica l’umanità rischia di somigliare tragicamente all’aggressione da cui voleva salvarci.

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