La legittima difesa (7). Troppa difesa? Il confine sottile tra sicurezza e abuso
di Luca Orlando
C’è una linea invisibile che separa chi si difende da chi attacca.
A volte quella linea è netta, inequivocabile: un rapinatore entra armato in casa tua, minaccia te e la tua famiglia. Reagisci, lo colpisci, sopravvivi.
Nessuno dubita del tuo diritto.
Ma altre volte, quella stessa linea si fa sfumata.
Il ladro è disarmato.
Sta fuggendo.
Tu lo rincorri, lo affronti, magari lo ferisci.
È ancora difesa? O è diventata punizione?
Questa domanda – che per un giudice si traduce in valutazione giuridica – per chi la vive è un attimo di caos, di paura, di rabbia.
Quando la sicurezza personale viene violata, è istintivo reagire.
Ma è proprio in quel momento che il diritto entra in gioco, chiedendo di distinguere tra necessità ed eccesso.
Il nostro ordinamento penale parla chiaro: l’uso della forza in legittima difesa è ammesso solo se è proporzionato all’offesa e se non vi è possibilità di altra via.
Ma la realtà raramente si lascia incasellare così facilmente.
Per esempio: una persona armata entra in casa tua e tu reagisci con un coltello da cucina. Scena tragica, ma comprensibile.
E se invece quella persona è già in fuga?
E se è stata messa in condizione di non nuocere più?
In quel caso, continuare a colpire non è più difesa.
È vendetta.
E la legge non la tollera.
Proprio per evitare che i cittadini si trasformino in giustizieri, la normativa italiana mantiene l’attenzione sull’elemento della “necessità attuale”.
Significa che si può reagire solo a una minaccia in corso, non a un torto appena subìto.
Ma questo principio, nella pratica, è durissimo da gestire.
Perché ogni aggressione ha un carico emotivo, ogni reazione è contaminata dalla paura, dalla sorpresa, dal senso di vulnerabilità.
La giurisprudenza è piena di casi al limite.
Persone assolte perché hanno reagito sotto shock, incapaci di distinguere il pericolo reale da quello percepito.
Altre, invece, condannate per aver infierito quando l’aggressore era già immobilizzato.
Il giudice ha il compito ingrato di stabilire se il gesto è stato difesa o abuso.
Una valutazione che oscilla tra il diritto e la psicologia.
Eppure, in un tempo in cui la percezione dell’insicurezza è in costante aumento, è forte la tentazione di allentare le maglie.
Si invoca il diritto alla difesa “sempre e comunque”.
Si chiede di poter reagire senza se e senza ma.
Ma è davvero questo il modello di società che vogliamo?
Una società in cui ognuno si arma per colmare il vuoto lasciato dalle istituzioni?
Dove la paura legittima ogni reazione?
Il compito del diritto non è solo proteggere le vittime, ma anche prevenire che le vittime diventino carnefici.
Per questo la legittima difesa non può trasformarsi in una licenza a colpire.
Serve misura, comprensione, capacità di distinguere.
La linea tra sicurezza e abuso, oggi più che mai, è sottile.
Ma è una linea che dobbiamo sforzarci di vedere.
Perché una difesa che dimentica l’umanità rischia di somigliare tragicamente all’aggressione da cui voleva salvarci.