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NATO, il baluardo americano ha ancora motivo di esistere a Napoli?

Scritto da Mario Marrandino Il . Inserito in A gamba tesa

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La NATO, Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, è un’alleanza militare internazionale e intergovernativa, che fu fondata nel 1949 come risposta repentina alle minacce derivanti dalla Guerra Fredda, tra blocco occidentale e blocco orientale, tra USA e URSS. L’Organizzazione ha coinvolto dodici paesi membri in un primo momento, un numero ben più esiguo degli attuali ventisei, e fin dal principio tra i membri fondanti c’è stata l’Italia.

Far parte della NATO implica inevitabilmente l’obbligo di dover ospitare sul proprio territorio, per ragioni diplomatico-istituzionali, ma anche di carattere puramente militare e di sicurezza, basi armate operative e strutture di sorveglianza, utili a contribuire alla difesa aerea, terrestre e marittima. Napoli – e più in generale la Campania – è stata terreno fondante di rapporti importanti tra l’Italia e gli USA, perché città del sud strategicamente perno del Mediterraneo.

La posizione geografica della stessa garantiva un ruolo chiave nelle operazioni militari e di controllo dei traffici commerciali, civili e militari nelle acque del Mediterraneo che coinvolgono molteplici Paesi.

In seno alla Guerra Fredda, quindi, tanto Napoli, quanto le basi NATO campane hanno giocato in posizione di vantaggio sul blocco orientale, conferendo all’Alleanza Atlantica un punto di vista centrale su uno degli sbocchi marittimi più importanti del vecchio continente. La domanda che ragionevolmente, ad oggi, nel 2023, è giusto porsi però è la seguente: ha senso parlare di basi NATO a Napoli? Ha senso ragionare in virtù di una necessità di sorveglianza delle acque mediterranee?

Le ragioni geopolitiche originarie sono venute meno col tempo quindi il senso del sistema NATO-regione è dovuto cambiare, adeguandosi alla realtà territoriale, reinventando il senso dell’istituzione militare che non ha avuto più ragione di sorvegliare. Tanto le basi campane, quanto le altre sparse in Europa, hanno comunque continuato a svolgere il loro ruolo di sicurezza collettiva, partecipando a più operazioni di “peacekeeping” e rispondendo alle necessità militari che sono sorte col tempo in seno all’Alleanza, divenendo anche strumento deterrente di attività irredentiste da parte di altri Paesi, nonché garanzia di cautela nei riguardi delle realtà contigue, ma è rimasto appannaggio dei nostalgici il senso di potenza militare necessaria sul nostro territorio, prima italico, poi campano.

È importante notare che le dinamiche della NATO e la presenza militare a Napoli, possono variare nel tempo in base alle esigenze e alle sfide del momento, anche diramandosi attraverso proiezioni della propria autorità in altre forme. Ad esempio, nel 2010, in seguito alla riorganizzazione dei comandi militari della NATO, in sostituzione del Comando della componente marittima alleata, nasce il Comando marittimo alleato di Napoli (Allied Marittime Command Naples – AMC Naples), è stato un comando militare della NATO con sede sull’isola di Nisida, anch’esso poi ridimensionato fino alla sua totale chiusura nel 2013 dovuta ad una fase di ristrutturazione diretta dalla NATO e atta a ridurre il numero di comandi. Funzioni e responsabilità sono confluite nell’Allied Maritime Command con sede Northwood nel Regno Unito e con giurisdizione su tutta l’Europa, riducendo, di riflesso, ulteriormente le competenze di un’ulteriore istituzione militare, surrogata di una precedente, già di per sé compressa nell’effettiva utilità.

Ad oggi, dal punto di vista strategico, dal quartier generale di Napoli vengono comandate due delle sei NATO Force Integration Units (ovvero unità di integrazione istituite alla luce della crisi in Crimea del 2014), la Nfiu di Sofia e la Nfiu di Bucarest, la Multinational Division Southeast di Bucarest e il NATO Aegis Ashore Missile Defence Site Deveselu che è parte del NATO missile defence system. Come si evince, l’area d’interesse resta quella adiacente all’ex blocco sovietico che ha suscitato, tanto negli anni di Crimea, quanto in quelli del Donbas, più motivi d’allerta.

Con il recentissimo scoppio del conflitto russo-ucraino, l’allerta è tornata alta dopo un lungo periodo di calma piatta in seno allo scenario europeo e con essa anche le attività NATO si sono riattivate soprattutto relativamente alla diatriba sul supporto all’Ucraina a gran voce richiesto. L’Ucraina da anni sta intraprendendo un percorso di integrazione con le istituzioni europee e atlantiche e con difficoltà sta muovendo passi in quella direzione, ma dallo scoppio del conflitto la trafila ha subito una considerevole velocizzazione, cercando in tal modo di garantire al popolo ucraino, e in particolare alle forze armate, un sostegno che non si limiti a sanzioni e rifornimenti, coinvolgendo Kyiv nel programma di sicurezza tipicamente dedicato a chi della NATO fa parte: se si è contro uno, si è contro tutti.

Il principio di difesa collettiva, ambitissimo dai membri della NATO, fonda i capisaldi dell’organizzazione internazionale e proprio per questo i Paesi più fragili o in via di sviluppo, con condizioni geopolitiche interne o limitrofe complesse, ambiscono a esserne parte o a divenire anello di congiunzione incidentale di una ben più vasta area, com’è la zona mitteleuropea, ove tali condizioni di sorveglianza e sicurezza sorgono.

Dal punto di vista territoriale, quindi, la NATO non offre un motivo concreto di autorevolezza, a maggior ragione relativamente a diversi movimenti politici sorti negli ultimi anni che professano una forte smilitarizzazione, in particolare per quanto concerne le basi americane, basti pensare al presidio dell’anno scorso presso la base NATO di Lago Patria di Potere al Popolo organizzato in Campania insieme a gruppi, associazioni studentesche e pacifiste come Caserta Decide, DemA, Ex OPG “Je so’ pazzo”, etc… che ha ottenuto notevole riscontro mediatico. I portavoce PaP Marta Collot e Giuliano Granato in quella sede dichiararono: “La NATO è il maggiore fattore di destabilizzazione a livello internazionale. Non è fattore di pace ma fattore di guerra. Chiedere che la NATO venga sciolta come alleanza militare significa contribuire veramente alla pace del mondo. In queste ore infatti si discute di un ulteriore invio di truppe italiane verso i paesi dell’Est Europa. Significa contribuire alla militarizzazione del confine ucraino, significa contribuire alla guerra. L’Italia deve rifiutarsi, per promuovere veramente la pace”.

Dal punto di vista internazionale, invece, per una certa fetta di mondo, continua ad essere baluardo di sorveglianza e vanto militare e, visto anche il conflitto tra Israele e Palestina in corso, l’impatto della NATO riesce ad avere ancor più riscontro mediatico sul tavoliere della diplomazia globale.

In virtù di quanto però specificato, la domanda lascia un senso agrodolce di non risposta: ha senso parlare di NATO nel 2023? Ha senso discutere sulle molteplici trasformazioni delle istituzioni militari americane in un mondo sempre più adorno di orpelli di guerra? Sarebbe con buona probabilità più utile costituire le fondamenta per un’organizzazione promotrice e divulgatrice di pace, quantomeno in seno all’Europa, tale per cui la NATO si proponga in qualità di supporto e non di protagonista di attività di “peacekeeping”, ma con la mimetica.