Autonomia differenziata: il PD tra amnesie e ravvedimento operoso

image_pdfimage_print

Autonomia differenziata: il PD tra amnesie e ravvedimento operoso

Fin dal suo insediamento, il governo Meloni non ha fatto mistero di voler riprendere in mano il dossier sull’autonomia differenziata. Tema caro alla Lega, l’attuazione dell’art. 116, c. 3 della Costituzione – che garantirebbe alle Regioni a Statuto ordinario la legislazione esclusiva in un ampio novero di materie, non ultime istruzione e tutela della salute – è la contropartita per l’altra grande revisione costituzionale voluta dal partito della premier, quella sul premierato.

L’avanzamento del disegno di legge elaborato dal ministro Roberto Calderoli – che dopo l’approvazione in Senato è ora all’esame della Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio – ha giustamente fatto salire sulla barricata le opposizioni, che gridano ai rischi di spaccatura del Paese e di allargamento delle disuguaglianze territoriali tra i cittadini.

Andrebbero però richiamati alcuni dettagli.

Anzitutto, tra le Regioni interessate all’attuazione dell’art. 116, c. 3 Cost., oltre a Lombardia e Veneto – storiche roccaforti del centrodestra -, troviamo l’Emilia-Romagna, il cui presidente Stefano Bonaccini ha corso, l’anno scorso, per la segreteria nazionale del Partito Democratico. Fa quantomeno riflettere che molti suoi esponenti campani, fin dalla campagna delle precedenti primarie, si siano scagliati e si scaglino tuttora contro una riforma voluta dall’attuale presidente dell’assemblea nazionale del PD. Tra questi esponenti va, o andrebbe annoverata, anche la corrente più vicina al presidente della Campania Vincenzo De Luca, diventato nelle ultime settimane capofila di una imponente mobilitazione contro l’autonomia differenziata e contro il taglio dei fondi per la coesione alle regioni meridionali. D’altro canto, vanno precisate due cose. Bonaccini ha sempre proposto una visione di differenziazione più mitigata rispetto a quelle di Lombardia e Veneto, chiedendo il passaggio alla competenza esclusiva regionale di meno materie. Fin dal documento approvato nel 2017 dalla giunta regionale dell’Emilia-Romagna, inoltre, a differenza degli atti approvati dalle giunte e dai consigli delle altre due Regioni, non si rintraccia la richiesta di trattenimento territoriale dei tributi che non sarebbero più di competenza dello Stato, cui invece Lombardia e Veneto puntano fin dall’inizio degli Anni Duemila. Così come anche De Luca, in una mozione approvata sul punto dal Consiglio regionale della Campania nel lontano 2019, ha sempre posto l’accento sulla necessità di salvaguardare l’unità nazionale e garantire livelli essenziali delle prestazioni uniformi per tutto il Paese.

Il legame vischioso tra centrosinistra e autonomia differenziata, in realtà, è ben più risalente. Di centrosinistra (e a guida PD) era il governo nazionale – Gentiloni – che nel febbraio 2018 (alla vigilia delle elezioni politiche e praticamente in sordina, come hanno criticamente notato alcuni costituzionalisti) siglò i cosiddetti “pre-accordi” con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna in merito al percorso da intraprendere per la differenziazione. I pre-accordi, in particolare, furono sottoscritti a nome dell’esecutivo da Gianclaudio Bressa, esponente di lungo corso della corrente popolare del partito, più volte sottosegretario con delega agli Affari Regionali e le Autonomie; e, prima ancora, di centrosinistra sono stati i governi sotto cui si è svolto l’iter della riforma del Titolo V della Costituzione che ha introdotto nella Carta fondamentale l’istituto della differenziazione regionale – D’Alema I, D’Alema II, Amato II – tra il 1998 e il 2001. Anche in quel caso, ad essere determinanti furono gli elementi di contesto, e in particolare il tentativo di Massimo D’Alema di avvicinare la Lega (allora) Nord al centrosinistra, proponendo una riforma in senso federale della forma di Stato come affiancamento della riforma in senso “premierale” della forma di governo. Gli intendimenti del segretario del PDS-DS di recuperare – anche in chiave di riassetto a proprio vantaggio del sistema politico italiano – quanto più possibile della tortuosa esperienza della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, come noto, naufragarono. Ma proprio D’Alema, di recente ha regalato l’inconsapevole, ennesimo corso e ricorso storico sulla vicenda. A margine di una bella relazione sulla figura di Berlinguer tenuta davanti ai Giovani Democratici metropolitani di Napoli, rispondendo alle domande dei giornalisti ha infatti rappresentato il proprio sostegno alla mobilitazione degli amministratori locali contro la proposta Calderoli.

In sintesi, dunque, sembra che il PD e tutto il centrosinistra stiano a prima vista scoprendo solo ora gli aspetti negativi di un istituto frutto di una delle tante contrattazioni al ribasso cui ci ha abituato la dialettica partitica in Italia. Non una sola parola di autocritica sembra essere stata espressa dagli “azionisti di maggioranza” dell’attuale opposizione su quanto, tutto sommato, il vituperato terzo comma dell’art. 116 della Costituzione sia figlio di questa parte politica – e non a torto, data la storica attenzione del centrosinistra alla dimensione delle autonomie locali quali sedi della partecipazione democratica dei cittadini alla vita del Paese, secondo una tradizione che risale sino al PCI in Assemblea Costituente. 

«Scurdammoce ‘o ppassato»? Fino a un certo punto. Il PD, oggi, ha l’occasione per porre, piuttosto che un no radicale al regionalismo differenziato, un “sì, ma non così”, che sarebbe maggiormente coerente con la sua storia. Preso atto dell’amnesia, accontentiamoci, per ora, del ravvedimento operoso.

(Un caso a parte in tutta la vicenda è rappresentato dal Movimento Cinquestelle, che sotto i gabinetti Conte ha gestito, in maniere diverse e diametralmente opposte, a seconda delle stagioni politiche e degli alleati di governo della scorsa legislatura, la vicenda della potenziale attuazione dell’art. 116, c. 3 Cost. La collocazione attuale del Movimento “contiano” nel centrosinistra, inoltre, è tutta da accertare, almeno a modesto parere di chi scrive.  Ma questa, verrebbe da dire, è un’altra storia.)

 

Giuseppe Lauri