Tempesta di TikTok: Il Confronto tra Est e Ovest nell’Era Digitale

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Tempesta di TikTok: Il Confronto tra Est e Ovest nell’Era Digitale

Mala tempora per TikTok, su entrambe le sponde dell’Atlantico. 

Il Congresso degli Stati Uniti d’America ha approvato un disegno di legge che impone alla cinese proprietaria della piattaforma, la ByteDance, di vendere agli americani o chiudere la App.

Anche in Europa le cose non vanno meglio: proprio in Italia, l’Antitrust ha inflitto al gruppo una multa da dieci milioni di euro per la diffusione di contenuti suscettibili di minacciare la sicurezza psico-fisica degli utenti, in particolare dei minori. 

Negli USA, soprattutto, ci sono molte preoccupazioni anche relativamente alle tecnologie, come dimostra il precedente caso Huawei e il 5G; oltre alla sicurezza dei dati degli americani, che finirebbero nelle mani del Partito Comunista cinese, altre polemiche hanno riguardato, un po’ in tutto l’Occidente, la presenza di contenuti anti-euroatlantici sulla piattaforma e graditi a Pechino o perfino a Mosca.

Che i sistemi di comunicazione facciano parte della guerra non convenzionale, sicuramente non l’hanno scoperto i cinesi. 

Nonostante la strategia Qiao Liang faccia esplicito riferimento ai media come strumenti della “guerra senza limiti”, che i russi abbiano bloccato Facebook in patria e portato sui social media la guerra ibrida con Valery Gerasimov, risalgono agli anni ‘20 gli studi europei sulla capacità dei media di manipolare le masse.

Dai seminali lavori di Gustav Le Bon sulla psicologia delle folle, agli studi neomarxisti di Adorno e Horkheimer relativi all’industria culturale, fino alla teoria dell’agire comunicativo di Jürgen Habermas, per il quale la comunicazione plasma completamente la società. 

La capacità degli Usa di utilizzare Hollywood, prima, e i social, dopo, per diffondere i valori democratici e i propri interessi è sicuramente insuperabile, considerando le operazioni di PSYOP e ingegneria sociale a cui ci hanno abituati; seppur, ogni tanto, perdendo il controllo di quello che creano. 

Le identity politics e la cultura woke mi sembrano un caso di scuola. 

Da una parte, la retorica diritto-umanitaria consente di erodere il principio di non ingerenza degli Stati e di “esportare” la democrazia, dall’altra i giovani radicali filo Hamas dei Campus dimostrano che l’ingegneria sociale non è una scienza esatta e si può ritorcere contro chi l’ha creata.

Ma tutto ciò premesso, è chiaro che TikTok sia una minaccia per l’Occidente. 

Non tutti sanno, infatti, che la versione cinese, Douyin, è completamente diversa dal gemello eterozigota europeo. Balletti cretini e softcore sono proibiti, e i video caricati nella App servono a promuovere la conoscenza di materie tecniche o artistiche.

In pratica, un regime illiberale come Pechino utilizza TiKTok per rafforzare la propria gioventù, laddove in Occidente diffonde cretinate volte a rincitrullirci. 

Poi, certo! 

La democrazia è a favore del libero mercato, e se il libero mercato premia più le fesserie, non sarà certo TikTok l’unica App a diffondere questi contenuti.

Ciononostante, il tema di quali contenuti vengono diffusi e a chi è ascrivibile la proprietà di un mezzo è dirimente e si porrá anche in Europa molto presto.

 

Angelo Bruscino