Gioventù meloniana e la “fiamma” difficile da spegnere

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             FONTE FOTO: FANPAGE.IT

Gioventù meloniana e la “fiamma” difficile da spegnere

di Raffaello Nuzzo

 

Che questo non fosse un governo antifascista lo si era ormai capito da tempo. Dai busti in casa, ai travestimenti carnevaleschi da nazisti la sequela di episodi nostalgici è infinita, ma probabilmente il punto di non ritorno si è raggiunto con il servizio mandato in onda da Fanpage e La7, unico tra i canali televisivi, sulla cosiddetta: Gioventù Meloniana.

Approcciando alla visione dei due reportage frutto di più di due anni di lavoro in incognito tra le fila di Gioventù Nazionale da parte della redazione di Fanpage, si entra in un mondo antistorico dove ragazzi tra i 20 e i 25 anni si scambiano saluti gladiatori, inneggiano all’olocausto e cantano cori nazisti. 

Li si vuol far passare per mele marce, ma la dura verità per chi guarda coetanei calpestare la storia dei partigiani e dell’olocausto è che non è così. Stiamo parlando della classe dirigente di quella giovanile, ragazzi inseriti già negli staff dei parlamentari o di membri di governo, sovvenzionati con quasi 400.000 euro ogni anno.

La maschera la svela subito l’On. Donzelli, Responsabile Organizzazione per FDI, che davanti alle telecamere di Tagadà difende a spada tratta i giovani meloniani, per poi ritrattare solo successivamente.

La dichiarazione di Donzelli è un manifesto di molte delle problematiche che FDI ha dimostrato in questi anni: in primis la totale avversione al giornalismo di ogni tipo, basti vedere i dati sulla libertà del giornalismo in Italia, e l’utilizzo costante di termini minatori e violenza verbale. 

L’inganno mosso a minorenni e ventenni”, approfondito tra l’altro in un’altra intervista a “L’aria che tira”, allo scopo di “tradire compagni per fare carriera” è un tema più da padrino, che da politico.

Non sono mele marce. Sono figli dell’intolleranza, figli di politici che non hanno mai rinnegato le proprie origini, figli di quella fiamma simbolicamente posta sul logo di FDI che non smette (purtroppo) di ardere.

«Dovrò essere cacciata ancora dal mio paese?». Le parole di Liliana Segre, senatrice a vita e testimone della Shoah, rappresentano il sentimento di sgomento e rabbia che ogni persona profondamente democratica ha provato in questi giorni. 

La lotta al fascismo non è un grimaldello che i partiti di sinistra utilizzano per ricompattare l’elettorato o per giustificare un voto “utile”, bensì è una scelta di vita, lottare per la tenuta democratica del nostro Paese e per mantenere viva la memoria di chi prima di noi ha perso un bene superiore pur di permetterci di poter esprimere liberamente il nostro pensiero.

Ricordando il Paradosso della Tolleranza di Karl Popper: “Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti; se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.”

Non possiamo permettere agli intolleranti diritto di cittadinanza nemmeno e soprattutto nell’arena politica e per questo lo scioglimento di Gioventù Nazionale è l’unica via possibile per ostracizzare chi quelle Istituzioni democratiche le usa per uso prettamente personale.

Dopotutto, simbolico è anche il fatto che proprio il Servizio Civile sia sfruttato da questi soggetti ai soli fini di un arricchimento economico personale. 

Soggetti che, neanche troppo in segreto a quanto pare, professano e vogliono applicare valori incompatibili con la nostra Costituzione antifascista.