In volo con Hemingway: doppio crash.

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In volo con Hemingway: doppio crash.

 

di Roberta Baiano

 

“Ogni libro porta con sé un mondo di storie: non solo quelle scritte, ma anche quelle vissute.

Dietro ogni pagina ci sono immagini, ostacoli, follie e momenti di genio che rendono gli autori 

unici, strani e, in fondo, un po’ simili a noi”

 

Proprio su questa ultima parte dell’introduzione si basa il nostro racconto per Fatti di inchiostro di oggi. 

Vi è mai capitato di partire per un viaggio durante il quale si sono avvicendati una serie di eventi che, a raccontarli, fanno sbellicare dalle risate, ma che sul momento vi hanno fatto pensare di essere finiti in un film o in un libro?

A me è successa proprio una cosa del genere.

 

Ero in viaggio verso Napoli con mio padre e, poco dopo una sosta all’autogrill, sulle note di “Non ci muoveremo mai più di qui”, ci fermiamo presso un’area di sosta.

Addio frizione. Auto morta per sempre.

Il soccorso stradale ci porta dall’unico meccanico aperto in zona una domenica di agosto di un anno ormai imprecisato.

Dopo un preventivo da anticipo di mutuo, decidiamo di chiamare il nostro meccanico che, prontamente ci invia un altro carroattrezzi.

Che si rompe per strada.

Anche lui.

 

E quindi?

Un carroattrezzi è andato a prendere il nostro carroattrezzi e un altro carroattrezzi è venuto a prendere noi, ma solo il giorno successivo.

 

Ecco, una cosa del genere è successa proprio a Ernest Hemingway durante un safari in Africa nel 1954 – che comunque deve essere stato qualcosa di molto simile a Valmontone negli anni 2000.

 

Lo scrittore, allora cinquantacinquenne, aveva intrapreso una serie di battute di caccia in Congo, Kenya e Ruanda con sua moglie. Di certo, non si aspettava che questa esperienza si sarebbe trasformata in quello che poi è diventata: un romanzo di avventure e disavventure degno della sua penna. 

 

Come mai? 

Beh, immaginiamo la scena.

Siamo con Hemingway e sua moglie su un Cessna in viaggio per sorvolare le maestose cascate Murchinson, in Uganda, quando, per evitare uno stormo di ibis, il nostro aereo si schianta nella giungla. 

Passiamo la notte lì, mentre il mondo ci crede dispersi o, peggio, morti.

L’indomani veniamo soccorsi da una barca piena di turisti – cosa che per qualcuno come me potrebbe sembrare anche peggio – e messi in salvo. 

Almeno per il momento.

 

Il destino, però, non ha ancora finito con noi.

Infatti – altro colpo di scena – il secondo aereo, quello che ci deve riportare a casa, prende fuoco durante il decollo, si schianta ed esplode.

 

Hemingway riportò numerose ferite, tra cui ustioni e traumi interni che lo segnarono per il resto della vita.

Tuttavia, trovò comunque il tempo per scrivere – con il suo caratteristico spirito indomito – una lettera al suo avvocato per raccontare la rocambolesca vicenda, chiudendola con un laconico: “Tutto bene qui”.

Mica Whatsapp!

 

Questa lettera, scritta durante la convalescenza in un albergo veneziano, di cui vi ho appena parlato, datata chiaramente 1954, è stata battuta all’asta nel 2023 a Los Angeles per la cifra di 237 mila dollari.

Quattro pagine scritte a mano raccontano di ferite strazianti, episodi di sopravvivenza nella giungla e – piccola chicca – di come uccidere un leone con una pistola tenuta insieme dal nastro adesivo.

 

Insomma, la vita e l’opera di Hemingway sembrano essersi sovrapposte, creando l’immagine di un uomo d’azione in lotta costante con la morte, la natura e i propri limiti.

Nonostante le gravi conseguenze fisiche e mentali di quei giorni in Africa, continuò a scrivere e a vivere con la stessa intensità che aveva contraddistinto la sua intera esistenza.

Un uomo che non solo narrava grandi storie, ma – in qualche caso – le viveva anche, trasformando le sue avventure, i suoi dolori e i suoi trionfi in letteratura immortale.

 

Un vero maestro di inchiostro.

 

Il contenuto di questo articolo è protetto dalla normativa sul diritto d’autore © Roberta Baiano