Corte di cassazione: l’ultima pronuncia in tema di tassazione sui collezionisti d’arte
di Luca Orlando
L’ultima sentenza della Suprema Corte di cassazione in tema di tassazione sui collezionisti d’arte ha riacceso un dibattito giurisprudenziale relativo alla vendita di opere d’arte da parte di privati, in particolare ponendo l’attenzione su un caso specifico che ha riguardato la rivendita di un quadro di Monet.
La Corte ha stabilito che la vendita generava un guadagno tassabile come “operazione speculativa occasionale” e, ciò nonostante, l’opera fosse stata acquistata sette anni prima.
Si tratta di un’impostazione giurisprudenziale che riflette una posizione più rigida rispetto alla consolidata esenzione fiscale prevista per i collezionisti privati, i cui profitti non vengono tassati, se non quando l’attività di vendita risulta ricorrente e assimilabile a quella di un commerciante.
Questa pronuncia evidenzia la mancanza di linee guida specifiche per distinguere le vendite occasionali da quelle con fini speculativi, e questo crea incertezza per i collezionisti d’arte che operano in Italia.
Pertanto, l’interpretazione della Corte potrebbe spingere i giuristi a rivedere la normativa fiscale del settore, in particolare per scongiurare il rischio che le singole vendite vengano intese come attività speculative, con conseguenti oneri fiscali.
Da una parte, i collezionisti potrebbero sentirsi scoraggiati da questa decisione, che in buona sostanza limita la loro libertà di rivendere opere d’arte senza incorrere in rischi fiscali; dall’altra parte, si potrebbe anche ritenere che un più rigoroso inquadramento fiscale finisca per rafforzare il mercato dell’arte, quindi rendendolo più trasparente.
Ad ogni modo, riteniamo che per evitare conflitti e ambiguità, il legislatore dovrebbe intervenire a chiarimento dei confini tra attività di collezionismo e speculazione, eventualmente introducendo parametri oggettivi come il numero di vendite annuali o l’entità dei guadagni.