Infobesità: Il Fast Food dell’informazione che ci sta uccidendo
di Roberta Baiano
Viviamo in un mondo dove l’informazione non è più un bene raro – il che è un bene – ma una valanga inarrestabile che ci travolge ogni secondo – il che è un male.
Scrolliamo, leggiamo, ascoltiamo, guardiamo, ma alla fine della giornata cosa ci resta davvero?
Il problema non è solo la quantità, ma la qualità.
Siamo talmente immersi in un flusso continuo di dati che distinguere il necessario dal superfluo diventa un’impresa.
Ed ecco che arriva il paradosso: più informazioni abbiamo, meno sappiamo cosa farne.
E allora benvenuti nell’era dell’infobesità!
L’era dove il troppo sapere ci rende incapaci di decidere, di agire, persino di pensare con lucidità.
Un tempo questo problema riguardava soprattutto gli uffici, con caselle e-mail intasate e notifiche incessanti, ma oggi il sovraccarico informativo è letteralmente ovunque.
Ogni dispositivo è un portale aperto su un universo di stimoli che ci raggiungono senza sosta, anche quando non li cerchiamo.
Social, e-mail, news, notifiche, messaggi vocali e testuali: tutto concorre a una dieta informativa eccessiva e spesso tossica, che intossica la mente come il cibo spazzatura fa con il nostro corpo.
Il risultato?
Ansia, stress, incapacità di filtrare ciò che conta davvero e una crescente paura di restare scollegati, come se il mondo potesse dimenticarsi di noi in un attimo.
Eppure, il cervello umano non è stato assolutamente progettato per funzionare così.
Il nostro sistema cognitivo non è un hard disk infinito pronto ad archiviare ogni dato, ma una macchina raffinata che lavora per priorità.
Quando queste priorità vengono sommerse da una marea di input inutili, la capacità di attenzione si riduce, la memoria vacilla e il pensiero critico evapora.
Peggio ancora, l’eccesso di informazioni ci rende paradossalmente più vulnerabili.
Infatti, leggiamo di tutto, crediamo a tutto, e alla fine ci affidiamo a ciò che appare più semplice, più rapido, più istantaneo.
La soluzione? Non è spegnere tutto e ritirarsi in una caverna – anche se l’idea può risultare allettante.
Può essere, invece, riscoprire il valore della selezione e della pausa.
La data usability ci viene in soccorso e ci offre un’ancora di salvezza.
Non tutti i dati sono uguali, ed esistono criteri chiari per distinguere quelli realmente utili: rilevanza, qualità, accessibilità, facilità di analisi.
Sono questi i pilastri per costruire un rapporto sano con le informazioni, invece di affogarci dentro.
E a livello individuale?
Alcune soluzioni possono essere, per esempio, il togliere le notifiche, il limitare il multitasking digitale, il separare il tempo online da quello offline, il concedersi giorni di digital detox.
Abbiamo scambiato la connessione continua con la conoscenza, ma essere sempre aggiornati non significa essere più informati.
L’infobesità ci sta rubando il tempo e la lucidità.
E forse è giunta proprio l’ora di metterci a dieta.