Taglia Idonei: Quando la Burocrazia Supera la Fantascienza
di Roberta Baiano
Dicevamo nel precedente articolo che i concorsi pubblici sono diventati, più che in passato, un’avventura epica.
Un gioco di sopravvivenza in cui la parola chiave è “attesa”, e non sempre si è certi di vedere il finale.
Abbiamo esplorato il labirinto di storture che va dalla pubblicazione del bando fino alla creazione – ipotetica – di una graduatoria definitiva, che spesso si trasforma in una chimera destinata a dissolversi nel tempo.
Eppure, stando ai racconti antichi, Dio ha creato l’universo in sette giorni.
Non per fare confronti, ma stilare un documento di graduatoria sembrerebbe un compito decisamente meno complicato, soprattutto con il supporto dell’intelligenza artificiale.
E invece, nel mondo dei concorsi pubblici, l’universo si espande in ritardi, lungaggini e soluzioni paradossali, come la mitica norma della “taglia idonei”.
Introdotta nel 2023 con l’audace intento di limitare il numero di candidati idonei nei concorsi pubblici, questa norma ha introdotto un meccanismo surreale: in graduatoria definitiva può entrare solo un numero di candidati pari ai posti messi a disposizione, con un’aggiunta del 20%.
Non tutti i concorsi, però, sono stati toccati da questa rivoluzione burocratica.
Sono rimasti fuori quelli per il personale sanitario, scolastico, educativo, delle forze dell’ordine, dei magistrati e degli avvocati dello Stato.
Insomma, a qualcuno è stato concesso il lusso di una graduatoria più lunga, mentre per gli altri il principio del “tentarne un altro” è diventato legge.
L’idea alla base?
Premiare il merito – che, come già discusso, spesso è un concetto discutibile nei concorsi pubblici – e soprattutto evitare liste chilometriche di idonei, favorendo invece la ripetizione di nuovi concorsi.
Perché bandire un concorso è una passeggiata, giusto?
A questo punto, il buon senso ha evidentemente abbandonato l’aula.
In compenso, è entrato in scena un genio del male che ha deciso di complicare ulteriormente un sistema già ingolfato.
Oppure, più semplicemente, chi ha ideato questa norma non aveva la minima idea di come funzioni davvero un concorso pubblico.
E allora spieghiamolo, così, giusto per evitare che qualcuno possa ripetere simili scempiaggini in futuro.
Prima ancora di bandire un concorso, le amministrazioni devono passare attraverso un percorso ad ostacoli: approvazione della spesa, valutazione del fabbisogno di personale, consultazione con i sindacati, verifica degli esuberi e delle priorità di assunzione per categorie protette, analisi delle disponibilità interne.
Poi viene la parte logistica: verifica della piattaforma per la gestione del concorso – o eventuale appalto – pubblicazione del bando, nomina della commissione, gestione delle prove scritte e orali, valutazione dei titoli, esclusione di candidati, approvazione e scorrimento delle graduatorie.
Un iter titanico che brucia risorse economiche e umane con l’efficacia di un falò in una notte di mezza estate.
Ora, se un bambino dell’asilo avesse proposto di sostituire le graduatorie triennali con liste più corte e a scadenza più rapida, probabilmente gli avrebbero tolto il pastello dalle mani.
Eppure, questo è esattamente ciò che è successo.
Fortunatamente, il disastro è stato momentaneamente tamponato: la norma è stata sospesa per il biennio 2024-2025.
Ma questa è solo una soluzione temporanea.
Sarebbe invece il caso di prendere definitivamente le distanze da una misura che non solo non risolve nulla, ma peggiora il problema, trasformando il reclutamento pubblico in una corsa a ostacoli ancora più insensata.
Se davvero vogliamo un sistema di concorsi pubblici efficiente, servono riforme logiche, non barzellette burocratiche.
Perché il posto fisso sarà anche un’utopia per molti – purtroppo – ma non dovrebbe certamente diventare una leggenda per tutti.