Il Ritorno della Luce nella Campania Celtica

di Evelina Parente
A un dato momento dell’anno l’inverno sembra stringere ancora nella sua morsa di gelo la terra, eppure qualcosa si muove.
Invisibile, come un battito sommesso.
È la promessa della luce, il respiro del nuovo che preme sotto la crosta gelata.
Da Imbolc a Ostara, le feste antiche raccontano ogni anno lo stesso viaggio, un viaggio iniziatico, ciclico, uguale ma sempre diverso: il buio che si squarcia, la vita che rinasce.
Imbolc (nella notte tra il 1 e il 2 febbraio) è la prima scintilla.
I Celti, che si dice abbiano abitato non solo le terre del nord Italia e dell’Europa, ma anche le terre sannite e irpine, accendevano fuochi in onore di Brigid, dea del fuoco e dell’ispirazione.
Poi con il cristianesimo questa festa fu ribattezzata Candelora (2 febbraio).
Ma la saggezza popolare a Candelora ancora risponde con l’invocazione: ‘estate rint’ e viern’ fore’.
La Candelora è la festa delle candele benedette che illuminano il pellegrino ancora avvolto dalle tenebre.
In Campania, sul Monte Partenio, nella notte della Juta alla Mamma Schiavona, la devozione alla Madonna Nera si trasmuta autonomamente nella preghiera accorata dei Femminelli.
Tra tamburelli e danze che battono il tempo, il pellegrinaggio a Montevergine si fa rito di trasformazione e inclusione.
È il passaggio, il doppio: sacro e profano, luce e ombra, fede e trasgressione.
Apollineo e Dionisiaco.
Il 2 febbraio anche Napoli, l’Urbe, sempre saluta la luce che è lì sospesa sul punto di entrare nel ciclo dell’anno nuovo, dalla vetta del Monte Partenio.
Poi si celebra il Carnevale.
L’inverno si contorce nel suo ultimo delirio, si traveste, si fa maschera.
Il vecchio mondo danza prima di morire.
Ovunque, il Re Carnevale viene bruciato perché solo nella cenere è visibile la rinascita.
Con il Mercoledì delle Ceneri, l’aria cambia.
Il fuoco del Carnevale si spegne del tutto, lasciando solo una debole scia di fumi presagi di quello che sta arrivando.
Il tempo si fa attesa.
È il cominciamento della Quaresima.
La terra trattiene il fiato.
Così come nei Tarocchi, la Morte non è la fine: è trasformazione alchemica attraverso il sacro fuoco.
Finché giunge l’equilibrio.
La chiusura diventa apertura.
Il respiro della natura si fa franco.
Il 21 marzo, l’Equinozio di Primavera, porta la festa di Ostara.
Giorno e notte si specchiano uguali prima che la luce prenda il sopravvento.
La vita esplode nei campi, le uova e i conigli danzano tra i fiori.
È il ritorno della fertilità, il trionfo del sole.
E Ostara gioca ogni anno una partita doppia con la Pasqua.
Ostara segue il cammino del Sole, la Pasqua quello della Luna.
Se con Ostara la vittoria è quella della natura alla sua massima fioritura, con la Pasqua la vittoria è interiore, spirituale, trasfigurata.
Tutto il ciclo dal buio alla luce si ripercorre in soli tre giorni.
Sono due facce dello stesso rito, due modi di raccontare la resurrezione.
Ogni anno, il mondo rinasce.
E noi con lui.
Ci investe come il vento a primavera.
E ci ricorda che ogni buio è solo un’attesa di luce.