Sottocoperta. In attesa di una buona partenza

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 Sottocoperta. In attesa di una buona partenza 

di Dionigi Zizza

 

Nelle sale cinematografiche, a settembre 2024, è uscito un film particolarmente interessante, un’opera prima. 

O meglio, il primo film lungometraggio della regista napoletana Simona Cocozza, nota per il documentario sul tema dell’omogenitorialità in Italia Over The Rainbow (2009). 

 

Il film si intitola Sottocoperta ed è stato prodotto dalla Minerva Films. 

La tematica affrontata è quella del desiderio e della fuga dalla realtà. 

 

La trama è ambientata a Napoli e si concentra sulla storia di un giovane ragazzo, Fiorenzo, che vorrebbe viaggiare e visitare il mondo. 

Il problema è che i suoi mezzi non glielo permettono, infatti, lavora come spazzino nello stabilimento di un’azienda di marketing. 

 

Viene regolarmente sfruttato dai suoi datori di lavoro senza mai avere una vera e propria possibilità di emergere, un suo amico di vecchia data, tale Maurizio, lo tratta anche peggio rubandogli spesso idee e deridendolo di fronte a tutti. 

Esce poco con i suoi amici e quando una sera si fa convincere ad andare ad una festa, parlando di vacanze, Fiorenzo dichiara di esser pronto a partire per Santo Domingo: una bugia.

 

Tra lo stupore di tutti e la contentezza degli amici veri, emerge anche la pressione psicologica da parte di Maurizio. 

Preso sul serio dagli amici, decide di non svelare l’imbroglio e, al contrario, di realizzare il suo grande sogno partendo davvero. 

 

Così, cerca di guadagnare quanto più possibile alternando anche più lavori. 

 

Quando tutto sembra pronto a prendere il volo, Fiorenzo si ritrova impossibilitato a partire. 

 

Così la vacanza dovrà farsela da sé, in casa, lontano da tutti postando foto su internet per non destare sospetti.

 

In questo scenario si immette una prostituta, Matrona, che darà una svolta alla sua avventura…

 

La storia si ispira molto probabilmente alla trama di Io e Te, di Niccolò Ammaniti. 

La struttura narrativa è abbastanza semplice e si sviluppa lungo un arco narrativo di 96 minuti.

 

Tutti i personaggi hanno caratteristiche precise e sono sin da subito molto chiari i contorni e il ruolo che ogni attore ha – come nel caso dell’aiutante o del cattivo – regalando, dunque, una linearità al film in grado di mantenerlo leggero e di approfondirlo là dove la regista ritiene necessario farlo. 

 

Il cast è funzionale, ricco di ottime interpretazioni che colorano la storia: l’interpretazione di Antonio Folletto è molto valida e sfrutta bene le scene in cui la macchina resta fissa per permettere l’emersione di uno stile di recitazione quasi troisiano, su cui il film punta per creare al meglio il personaggio del protagonista.

 

Forse troppo, siccome spesso all’inizio, per permettere al personaggio di guadagnarsi l’empatia – inutilmente, forse, dal momento che Folletto riesce ad attirarla naturalmente con la sua interpretazione – si giunge a renderlo al limite del fantozziano.

 

Sin dall’inizio, le intenzioni umane dei personaggi nei confronti di Fiorenzo risultano decifrabili, ma lo stesso non si può dire delle loro vite e dei loro pensieri, che emergono più lentamente.

Ed è proprio qui che risiede un pregio del film: prima di comprendere razionalmente cosa pensano i protagonisti, ne percepiamo le emozioni.

 

L’aspetto emotivo precede quello razionale, e in una storia dove le relazioni costituiscono la trama stessa, senza particolari colpi di scena, dare troppo spazio alla dimensione logica a scapito di quella emotiva rischierebbe di appesantire il racconto.

 

Se così fosse, la storia diventerebbe lenta e prevedibile, costringendo la sceneggiatura a inventare situazioni artificiose, spesso al limite del funambolico, per evitare la ripetitività dei personaggi in sena – un rischio che Sottocoperta evita con intelligenza.

 

Il film scorre piacevolmente, senza cadere nella monotonia, distribuendo con il giusto ritmo informazioni sulla vita intima dei protagonisti.

In questo modo, il racconto non si dilata inutilmente e, al tempo stesso, lo spettatore sviluppa una familiarità con i personaggi senza che tutto debba essere esplicitato.

 

Non serve sapere esattamente cosa pensino: ciò che conta è ciò che provano e come le loro azioni si intrecciano in modo realistico sullo schermo.

 

Visivamente, la fotografia e le luci di Emilio Costa risultano estremamente godibili, con una palette cromatica sempre coerente con la narrazione.

I colori freddi e chiari evocano l’austerità del posto di lavoro di Fiorenzo, con tonalità grigie a sottolinearne la malinconia; tonalità più calde avvolgono la casa del protagonista, mentre i colori scuri dominano la festa in cui si muove tra amici, vecchie fiamme e personaggi spocchiosi.

Questa scelta cromatica accompagna e rafforza l’esperienza visiva del film.

 

Gli ambienti, tipicamente napoletani, vengono stilizzati attraverso un sapiente alternarsi di inquadrature: primi piani e campi e controcampi ben dosati nelle scene di dialogo, campi larghi nei momenti di solitudine di Fiorenzo, che sottolineano il legame tra la narrazione e il movimento della cinepresa.

 

Alcune riprese dall’alto, quasi dal punto di vista del soffitto, hanno reminiscenze hitchcockiane dei primi film, come The Lodge (1927), e servono a far distaccare per un attimo lo spettatore dalla fluidità della storia, riportandolo alla concentrazione. 

 

Tuttavia, in alcune scene – soprattutto nei primi dialoghi tra Fiorenzo e Matrona – si avverte un movimento di macchina improvviso e leggermente brusco, una stonatura rispetto alla pulizia visiva generale del film.

 

Ottima anche la scenografia di Giuliano La Spina e Monica Vittucci, ma vera genialità si trova negli effetti speciali degli origami del protagonista, che prendono vita nelle scene più significative.

 

Il loro danzare sullo schermo trasmette il vero senso di questa pellicola: gli origami sono la fantasia di Fiorenzo che si spinge oltre i confini della realtà. 

 

Nonostante il racconto si mantenga verosimile, questi elementi “magici” risultano perfettamente credibili e anzi, aggiungono un livello di interpretazione ancora più profondo alla storia.

 

Qui Cocozza adotta un’idea quasi godardiana: così come Godard faceva giocare le parole con il loro significato, facendole danzare sullo schermo, in Sottocoperta gli oggetti di scena prendono vita alle spalle dei personaggi, diventando veicoli del senso stesso del film.

 

Un’opera delicata, con la giusta dose di autoironia, capace di rendere accettabili anche le poche sbavature.

Sottocoperta sembra l’inizio di un viaggio affascinante, proprio come quello di Fiorenzo: tra realtà, amore e fantasia.

 

VOTO: 7½