Stress da ufficio, quando il lavoro toglie il sonno

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Stress da ufficio, quando il lavoro toglie il sonno

 

di Roberta Baiano

 

Lavorare stanca, scriveva Pavese, e fin qui nulla di nuovo.

Ma se la stanchezza non fosse solo fisica, se si insinuasse nella mente fino a togliere il sonno, la serenità e, in casi estremi, anche la voglia di lavorare? 

 

Benvenuti nel mondo del burnout, la piaga silenziosa che si annida negli uffici, nelle call senza fine e nelle aspettative che si accumulano più velocemente delle e-mail non lette.

 

Un recente questionario pubblicato da Mindwork sul benessere psicologico nelle aziende ha messo nero su bianco una realtà inquietante: un lavoratore su due in Italia soffre di insonnia e ansia a causa del lavoro

 

Non si tratta solo di qualche notte agitata o di un po’ di stress pre-scadenza. 

Il 62% degli intervistati ha sperimentato almeno uno dei principali sintomi del burnout e il dato è in crescita rispetto al periodo pre-pandemia. L’ansia lavorativa è salita dal 35% al 53%, mentre l’insonnia tocca ormai il 50%. 

 

Numeri che pesano, soprattutto se si considera che il 50% dei lavoratori ha ammesso di aver lasciato almeno una volta il proprio impiego per un forte malessere emotivo. 

E in alcuni casi, il tasso di dimissioni per questo motivo arriva addirittura al 75%.

 

L’ansia da lavoro non è un semplice fastidio passeggero, ma una condizione che può compromettere la qualità della vita sotto molti aspetti. 

I sintomi? 

Un mix esplosivo di insonnia, irritabilità, difficoltà di concentrazione, crisi di pianto e senso di colpa. 

 

E poi ci sono i segnali fisici: mal di testa, problemi gastrointestinali, tachicardia, stanchezza cronica e persino disturbi dell’appetito. 

 

A livello comportamentale, il malessere si traduce in procrastinazione, errori dovuti a disinteresse, ritardi cronici e, alla lunga, nella decisione di lasciare il lavoro.

 

Ma quali sono i colpevoli

Il carico e il ritmo di lavoro eccessivi, ambienti tossici, conflitti interni, richieste irrealistiche e persino forme di isolamento dai colleghi. 

Il mobbing, le offese e le molestie fanno il resto, rendendo il posto di lavoro un campo minato per la salute mentale.

 

Eppure, qualcosa si può fare. 

Promuovere migliori rapporti tra colleghi, prendersi pause nei momenti di sovraccarico, definire obiettivi realistici e creare un ambiente lavorativo più accogliente sono passi fondamentali. 

 

Ma non basta. 

Serve un cambio di mentalità, con manager e superiori capaci di comunicare, di ascoltare e di favorire un dialogo aperto. 

Ridimensionare la paura del fallimento e riconoscere che il benessere dei lavoratori non è un lusso, ma una necessità, potrebbe essere la chiave per un futuro in cui il lavoro non sia sinonimo di ansia, ma di crescita e soddisfazione.