Principio di offensività: i reati senza vittima e le sfide bioetiche nel diritto penale

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Principio di offensività: i reati senza vittima e le sfide bioetiche nel diritto penale

 

di Luca Orlando

Questo articolo si colloca come quinta e ultima pubblicazione su questa rivista in tema di principio di offensività nel diritto penale, e vuole quindi costituire un epilogo rilevante anche per quanto concerne sfide che potrebbero rivelarsi non di poco conto in un futuro prossimo.

 

Come visto in precedenza, un aspetto certamente controverso della tutela dei beni giuridici nel diritto penale riguarda i cosiddetti reati senza vittima, ovvero fattispecie in cui non si verifica un’offesa concreta a un bene giuridico individuale o collettivo (Vallini, 2012). Questi reati, spesso di natura etica o morale, includono condotte come l’eutanasia consensuale, l’uso di sostanze stupefacenti e l’embrionicidio (Vallini, 2015). 

 

La loro criminalizzazione pone interrogativi rilevanti e complessi in merito al principio di offensività e alla legittimazione dell’intervento penale in ambiti che riguardano in prevalenza la sfera individuale.

 

Il dibattito sui reati senza vittima ha peso particolare nelle società moderne, poiché in esse cresce la richiesta di depenalizzazione per determinati comportamenti che non producono un danno immediato e tangibile ad altri soggetti.   

 

La dottrina e la giurisprudenza più accorte si confrontano costantemente in tema di definizione dei criteri che dovrebbero determinare la necessità o meno di una tutela penale in questi ambiti. 

Più precisamente, la questione centrale riguarda il bilanciamento tra libertà individuale e interesse collettivo: fino a che punto lo Stato può imporre limiti alle scelte personali per ragioni di ordine pubblico o di tutela dei valori etico-sociali? (Pulitanò, 2013).

 

Il principio di offensività costituisce un criterio fondamentale sotto questo punto di vista: se una condotta non provocasse alcun danno concreto a terzi, la sua criminalizzazione potrebbe risultare eccessiva e contraria ai principi fondamentali del diritto penale, che dovrebbero riservare l’intervento punitivo solo ai casi di effettiva lesione di un bene giuridico rilevante. 

 

Tuttavia, alcuni reati senza vittima vengono giustificati con la necessità di prevenire potenziali danni sociali o con la tutela di principi etici fondamentali per la convivenza civile.

Un’ulteriore riflessione può essere fatta con riferimento alle nuove sfide bioetiche, come la clonazione umana o l’ibridazione uomo-animale (Mantovani, 2017). 

 

Questi temi emergenti pongono problemi inediti per il diritto penale, che si trova a dover definire nuovi beni giuridici da proteggere di fronte a innovazioni scientifiche e tecnologiche capaci di modificare profondamente la concezione tradizionale della vita e dell’identità umana.

 

La bioetica rappresenta un campo di notevole complessità, in cui il diritto deve necessariamente confrontarsi con questioni che toccano la dignità umana, l’autodeterminazione e i limiti dell’intervento dello Stato.   

 

La regolamentazione di fenomeni come la manipolazione genetica e la sperimentazione sugli embrioni richiede un approccio equilibrato, che sia, cioè, in grado di bilanciare le potenzialità della scienza con i limiti etici e giuridici imposti dall’ordinamento (Mantovani, 2017).

 

Riferimenti bibliografici:

  • F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Milano, 2017.
  • D. PULITANÒ, Diritto Penale, Torino, 2013.
  • A. VALLINI, Ancora sulla selezione preimpianto: incostituzionale la fattispecie di selezione embrionale per finalità eugenetiche, ma non quella di embrionicidio, in Diritto Penale Contemporaneo, 2015.
  • A. VALLINI, Illecito concepimento e valore del concepito, in Discrimen, 2012.