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Un po' di storia del teatro napoletano (terza parte)

Scritto da Antonio Capotosto Il . Inserito in Teatro

De Filippo

L'enorme successo di Eduardo Scarpetta suscitò reazioni di vario genere: dai drammoni lacrimosi recitati dalla compagnia di Federico Stella ai vari tentativi di “teatro d'arte” patrocinati in genere dall'attore Gennaro Pantalena con copioni di Salvatore Di Giacomo ('Assunta Spina', 'Mese mariano'), Diego Petriccione ('Quatto 'e maggio'), Libero Bovio ('So' ddiece anne'), Roberto Bracco ('Uocchie cunzacrate'), Ernesto Murolo ('O Giovannino o la morte'), ecc.

La fine del secolo fu anche il periodo di maggior affermazione della canzone napoletana (sovente opera di poeti e musicisti di rilievo) e del 'café-chantant' con le canzoni di Pasquariello, della Fougez e le macchiette di Maldacea e di Raffaele Viviani. Quest'ultimo, passato poi alla prosa, continuò la tradizione degli attori-autori, con una serie di copioni del tutto avulsi dagli schemi della drammaturgia borghese che, passando senza soluzione di continuità dal tragico al grottesco, offrono un quadro multiforme della realtà napoletana, con risultati spesso di grande suggestione poetica. Un posto di primo piano occupano i De Filippo: Eduardo, Peppino e Titina.

Figli naturali di Scarpetta, cominciarono la carriera nei varietà di periferia e formarono negli anni Trenta una compagnia del Teatro Umoristico, imponendosi subito come attori straordinari a una critica che catalogò generalmente come meri pretesti commedie quali 'Chi è più felice di me?' e 'Natale in casa Cupiello' di Eduardo o 'Un povero ragazzo'  di Peppino. Si separarono nel 1945, Peppino per affrontare un repertorio tutto farsesco (ma tra queste farse è notevole 'Quelle giornate' in collaborazione con Mario Scarpetta) con occasionali incursioni nel repertorio classico (Molière e Machiavelli), Eduardo per imporsi definitivamente come autore di primissimo piano e come accorato testimone di un'endemica crisi dei valori. L'insieme delle sue opere (da 'Napoli milionaria', 1945, a 'Gli esami non finiscono mai', 1974) costituisce il più significativo 'corpus' drammaturgico del nostro dopoguerra.

Il panorama può essere completato dai numerosi attori napoletani che illustrarono l'epoca migliore del varietà e della rivista italiana, da Totò ai De Rege e a Nino Taranto (poi alla testa di una compagnia di prosa che presentò un notevole testo di Giuseppe Marotta, 'Il califfo Esposito'), e da un genere popolaresco, la sceneggiata, nata nel 1918, che partendo da una canzone di successo racconta, con musiche e truculenze varie, movimentati scontri tra la virtù e il vizio, con finali invariabilmente consolatori.

 

Per saperne di più:

Un po' di storia del teatro napoletano (prima parte)

Un po' di storia del teatro napoletano (seconda parte)