
Anche in Appello Alessandro Impagnatiello è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Tramontano e del figlio che portava in grembo. Una decisione che conferma la gravità del crimine ma lascia aperti interrogativi profondi, soprattutto dopo la caduta dell’aggravante della premeditazione. Impagnatiello aveva confessato di aver colpito Giulia con 37 coltellate, dopo mesi di menzogne, tradimenti e tentativi di avvelenamento. Un omicidio atroce che ha sconvolto il Paese. Eppure, la Corte ha ritenuto che non vi fosse una pianificazione lucida e sistematica dell’atto finale. Per la difesa, l’azione non fu calcolata ma il frutto di un gesto disperato. Ma quanto può definirsi “impulsivo” un delitto preceduto da tentativi di avvelenamento e strategie di eliminazione?
La madre della vittima ha scelto il silenzio. Un silenzio che pesa più di mille parole, nel giorno in cui la giustizia conferma la pena massima ma sembra sottrarre un pezzo importante alla verità emotiva di questa tragedia. Il caso Tramontano non è solo un processo penale: è lo specchio di una violenza radicata, spesso sottovalutata, che esplode tra le mura domestiche, dentro relazioni tossiche mascherate da normalità. La condanna di Impagnatiello è il minimo sindacale. Ma per prevenire nuovi femminicidi, serve molto di più: cultura, educazione, ascolto. E una società che non giri la testa dall’altra parte.