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Il Sacro e il Profano al complesso monumentale di San Domenico

Scritto da Francesca Ciaramella Il . Inserito in Port'Alba

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“Capita che i visitatori vengano a trovarci, chiedendo di mostrare loro il Cristo Velato. Si sbagliano: non è qui”. Questo curioso particolare viene riportato da una delle disponibili collaboratrici del DOMA (l’associazione no profit del Complesso Monumentale di San Domenico) ed è indice della conoscenza purtroppo parziale che napoletani e non hanno dell’incredibile complessità di quella che non è unicamente una Chiesa, ma piuttosto un solenne deposito di arte, religione, filosofia, storia e politica insieme.

È complicato cogliere questa totalità di sacro e profano limitandosi ad osservare San Domenico da uno qualsiasi dei punti della piazza che esso cinge tanto discretamente. Molti turisti ignorano addirittura l’esistenza di un ingresso “posteriore” che è in realtà quello principale, a cui si giunge percorrendo Vico San Domenico; ed ovviamente non hanno la minima percezione dei ben tre chiostri originari che componevano l’ampia compagine, uno dei quali ormai adibito a palestra ricreativa. Soprattutto resta nascosto ai più l’interesse che i reali ebbero per questo immenso edificio fin dalla sua creazione, lasciando su di esso discordanti segni del loro passaggio. Nel 1281 Carlo I d’Angiò ordinò la costruzione della nuova Chiesa che avrebbe presto inglobato il nucleo religioso benedettino preesistente, quello di San Michele Arcangelo a Morfisa. Il nuovo e imponente edificio fu affidato ben presto ai Frati Predicatori Domenicani, stanziati a Napoli fin dal 1231.

Nel Quattrocento gli Aragonesi non persero l’occasione di competere con i predecessori; la basilica venne scelta dai nuovi stranieri come pantheon dinastico. Le loro tracce sono ancora ben evidenti: dall’incantevole Sagrestia che ospita le Arche dei sovrani e di altri nobili di rango del XVI secolo, si accede all’adiacente Sala degli Arredi Sacri. In quest’ultimo ambiente sono esposti molti degli abiti di tendenza del tempo, compresa la gamurra di Maria d’Aragona. Ma è l’inusuale accostamento di reperti storici e artistici a lasciare più stupefatti e a creare un contrasto tematico talvolta poco comprensibile, eppure non per questo meno affascinante, come nella presenza in questa sede del misterioso Salvator Mundi (ritratto assimilabile all’enigmatica Gioconda soprattutto per il tocco di scuola leonardesca). Questo percorso è accessibile ai visitatori dal martedì alla domenica al prezzo di €5.

Lungo le scale e su in cima fino alle stanze del convento domenicano, la dimensione laica cede il passo a quella religiosa: dal Refettorio alla Quadreria e poi lungo il celebre corridoio di San Tommaso si è introdotti in un universo semplice, dismesso che prepara alla ricchezza cromatica e ideologica della cella che ospitò l’alquinate nel 1272. Trasformata successivamente in una cappella offre ancora la possibilità di osservare il crocifisso prodigioso del XIII secolo che secondo la tradizione parlò al futuro santo, una pagina scritta di suo pugno come commento ad un testo del Lombardo e il suo omero. L’aggiunta dell’itinerario conventuale a quello sopra esposto è invece concessa interamente al prezzo di €7.

Inoltre quest’anno DOMA rinnova il suo programma inserendo una serie di percorsi didattici ed esperenziali con tagli tematici predefiniti (Alla corte degli Aragonesi, Vita da Domenicani, Una corte alla moda, La scuola filosofia…) o disponibili a subire personalizzazioni, destinati agli studenti. E insegnare (giocando) chissà che stavolta non solletichi l’interesse dei visitatori più esigenti di tutti.