fbpx

Dove si trova l'oro di Napoli?

Scritto da Mariano D'Antonio Il . Inserito in Napoli IN & OUT

oro napoli

Quando il principe Carlo d'Inghilterra e la sua consorte Camilla hanno visitato un laboratorio di capi di vestiario e una bottega artigiana alla Riviera di Chiaia, poi monumenti e città d'arte e hanno gustato la pizza, abbiamo toccato con mano che non c'è Brexit che tenga, non c'è il ritiro dell'Inghilterra dall'Unione Europea che possa spaventare i nostri imprenditori e i nostri lavoratori del Mezzogiorno.

Abbiamo verificato che dalla ventata di protezionismo commerciale che soffia oggi nel mondo investendo l'una e l'altra sponda dell'Atlantico, la nostra economia può mettersi al riparo salvando imprese e posti di lavoro. Ma ad una condizione: puntare sulla qualità dei prodotti, sul loro carattere tipico e irripetibile e abbandonare la competizione sui costi e sui prezzi che ci vede perdenti nei mercati globali.

La concorrenza sui costi e sui prezzi ormai sta tagliando fuori una buona parte dell'economia del Mezzogiorno. Agiscono infatti nei mercati globali Paesi come quelli asiatici e in parte quelli dell'America Latina, che abbondano di lavoro semplice e poco costoso e si servono di materie prime legate alla produzione agricola nonché di macchinari importati dalle economie d'antica industrializzazione. Si servono anche di mezzi di trasporto (le navi porta container) e di tecnologie di comunicazione a distanza facilmente accessibili. Costi ridotti di lavoro e di materie prime d'origine agricola, combinati con massicci spostamenti dei manufatti via mare hanno l'effetto di inondare il mercato italiano, quello meridionale in particolare, di manufatti a prezzi accessibili ai consumatori dotati di basso potere d'acquisto.

Il futuro della nostra economia perciò è affidato alla qualità piuttosto che al prezzo. La qualità è il nuovo oro di Napoli. Qualità del prodotto finito ma pure qualità del servizio che lo accompagna sulla tavola o nell'armadio del consumatore.

Una versione ingenua della qualità è quella che esalta il ruolo dei prodotti dell'alta tecnologia, della tecnologia digitale, che consiste nella traduzione in linguaggio binario (1,0) di messaggi scritti o figurati. Viviamo e siamo abbagliati di tic (tecnologie dell'informatica e della comunicazione), Rincorriamo tutto ciò che appare smart (intelligente, elegante). Rischiamo di diventare vittime di nuovi feticci dimenticando che per avviare e consolidare un'impresa di successo non basta avere un'idea e poi trovare un garage in cui svilupparla, poi ancora progettare una app (applicazione) e provare a venderla.

Perché l'innovazione si traduca in un'attività duratura, in un'impresa che si avvia sul mercato e cresce, sono necessari altri ingredienti: la disponibilità di capitali di rischio, un'organizzazione del lavoro, la suddivisione delle mansioni tra più persone, i canali di distribuzione delle merci. Infine ma non per ultimo occorrono istituzioni pubbliche orientate a promuovere il cambiamento piuttosto che dedicate a spennare i nuovi polli, gli imprenditori nascenti e i lavoratori dipendenti, con tasse e balzelli a raffica.

La qualità necessaria per sopravvivere e prosperare nei mercati globali insomma è una spinta che smuove la società in tutte le sue articolazioni, dai produttori ai burocrati, ai politici che governano le istituzioni. S'illudono coloro che pensano di continuare a riposare sulle rendite di posizione come quelle offerte da un monopolio produttivo (che è sempre temporaneo), da un negozietto situato in una zona elegante, dallo stipendio assicurato nell'impiego pubblico, da un serbatoio elettorale per accedere al vertice di una istituzione.

Mariano D'Antonio, economista