A Napoli, la presentazione dell’ultimo libro di Paolo Macry
Giovedì 22 novembre si è tenuta alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri di Napoli la presentazione dell’ultimo libro di Paolo Macry: “Napoli. Nostalgia di domani.”, edito da il Mulino per la collana, e non a caso, Intersezioni.
Macry è professore ordinario di storia contemporanea all’Università Federico II e intellettuale di punta del panorama napoletano. Invitati al dibattito sul libro nomi “su cui è persino inutile discutere” come ha affermato Emiliano Fittipaldi, giornalista dell’espresso e antico allievo di Macry, per questa occasione moderatore e conduttore del dibattito, Biagio De Giovanni, Mirella Barracco, Claudio Velardi. Nella sala della Feltrinelli c’era un numero straordinariamente grande di altri intellettuali napoletani, amici di sempre, come li ha definiti lo stesso autore; élite incontestabile eppure contestata di questa città; élite napoletana di cui in maniera esplicita si parla anche nel libro.
E come potrebbe essere diversamente? Il racconto di Napoli fatto dall’autore è un continuo scontro/incontro, mai veramente risolto, fra la Napoli della élite e quella popolare, fra la Napoli colta e quella lazzaresca. “Ma è proprio la retorica degli opposti che bisognerebbe ripensare”, provando contemporaneamente a sottrarla “all’ipoteca ideologica del sensazionalismo”. Il libro di Macry è una “passeggiata” nella città, fra le “pietre” della città, una “passeggiata” carica di riflessioni e spunti storiografici sul passato e sul presente.
È una “passeggiata” nella città con un sapore elegantemente ed esplicitamente autobiografico, senza infingimenti, il racconto di un rapporto iniziato con Napoli “solo” cinquant’anni fa, perché Macry è un napoletano di adozione. Nasce abruzzese di Sulmona e successivamente arriva a Napoli dopo avere studiato ed essersi laureato a Milano. Arriva a Napoli come borsista dell’Istituto degli Studi Storici, come studioso. Prima di stabilire con essa un rapporto dal vero, all’inizio di tutto, per Paolo Macry, Napoli è la metafora di una rottura necessaria, di un orizzonte da interrompere, è la città di La Capria “che ti ferisce a morte o ti addormenta” .
La città viene sperimentata da Macry dal vero, “in anni cruciali”, quelli del sessantotto e giù di lì. In questi anni la metafora di Napoli “città che ti ferisce a morte” non ha più solo il sapore esistenzialista di quella prima metafora originaria ripresa da La Capria, ma è “la città inferno” , la città del film manifesto di Francesco Rosi, “Le mani sulla città”.
Una città sfregiata, scavata fin nelle viascere, da cui è obbligatorio mettersi in salvo. Ma poi una volta arrivato non riesci ad andar via, perché Napoli, si nasconde dietro ciò che appare. Perché, in verità, è una città cosmopolita, aperta al mondo, inclusiva. “Si arriva dai luoghi più diversi e subito si incomincia ad essere napoletano”, e così è sempre stato già dai tempi degli Aragonesi e degli Spagnoli. E te la metti a difendere con tutte le tue forze. Napoli, scopre Macry, è una città che si contesta ferocemente, ma che quando viene messa alla gogna senza scampo, come nella “Pelle” di Malaparte, nel “Il mare non bagna Napoli della Ortese, o, molti anni più tardi, in “Gomorra” di Saviano, viene difesa a spada tratta dai suoi stessi detrattori di sempre. E chissà perché? Eppure la Napoli descritta da Malaparte era realistica, non surreale, come hanno provato a dire alcuni critici? A questa domanda provano a dare una risposta De Giovanni e Velardi, insistendo sul concetto di “identità debole”, il titolo che Macry da a un capitolo fondamentale e decisivo del libro.
Un’identità debole ha bisogno di affermare sempre e continuamente se stessa, specialmente quando c’è chi la nega o la rifiuta. Che si parli di popolo o di élite, il meccanismo omeostatico che tieni in piedi la città e le sue narrazioni, si deve sempre riaggiustare su se stesso per non rischiare di rompersi in mille pezzi. È quindi un libro disperato quello di Macry, si chiede De Giovanni? Un libro che non offre nessuno scampo? Soprattutto oggi che si manifesta a Napoli, in Italia e in Europa, un populismo che lascia poche speranze al futuro di questa terra. Ma Macry vede anche nel “populismo” che si è avuto nella storia di Napoli, l’aspetto positivo di una fucina di grande sperimentazione. C’è una linea di continuità che attraversa la storia di Napoli da Lauro a De Magistris, non lasciando fuori neanche Bassolino. Infatti dietro la metafora “colta” del rinascimento napoletano, si è nascosta una sostanza “populista”. In ogni caso sta il fatto che oggi, dice Mirella Barracco, “noi”, e con noi si riferisce all’élite napoletana, e si chiama in causa lei direttamente, siamo afoni di fronte a quello che sta succedendo in città. Ma non è la prima volta che il popolo napoletano abbia un rapporto ribellistico o addirittura di odio nei confronti delle élites. Pensiamo a quello che accadde nel 1799, e che Macry racconta crudamente, senza nessuna retorica. Velardi parla di élites napoletane non inclusive, incapaci di formare a loro volta classi dirigenti. Pensa specialmente all’esperienza “del secondo Bassolino”.
Le élites napoletane, al più, sono “estrattive”, e se a questo uniamo la incapacità di innovare, il sistema diventa esplosivo. Per questo, prima ancora del successo in città del Movimento Cinque Stelle, si è affermata l’insopportabile retorica populista di De Magistris, che nel libro viene raccontata splendidamente con le stesse parole utilizzate dall’attuale sindaco di Napoli nella sua pratica retorica quotidiana. Raccontando i suoi cinquant’anni da Napoletano, Macry, ci restituisce la storia di Napoli. De Giovanni sottolinea che si tratta di una storicità non lineare, non “storicista”, fatta di salti temporali, di cambi di orizzonte, in somma di una storicità aperta e non dogmatica. Se nel dopoguerra non ci fosse stata la speculazione edilizia, e la cessione di una parte consistente della “bellezza del contesto” all’affare e a volte al malaffare, conclude Macry, non ci sarebbero state nemmeno case a buon mercato, per una consistente fetta di popolazione, specialmente dopo le ingentissime distruzioni e macerie della guerra.
È una giustificazione? No è “la forza del contesto” Un altro esempio: Napoli, col 1860, ha subito uno strappo traumatico nella sua storia. Questo fatto si è mai veramente affrontato con sufficiente lucidità e oggettività? Dire queste cose significa essere neoborbonici? Dire che Lauro provò a farsi carico di certe istanze, significa essere populisti? No. Significa solo tenere conto del contesto. Molte volte nel libro compare questa parola, “contesto”, ha fatto notare la Barracco durante la presentazione. Il libro è bellissimo. Non è un “altro libro su Napoli”. È un racconto che traccia una linea sottile tra biografia e storia effettiva. È uno sguardo “interessato” e perciò stesso interessante. Dopo averlo letto diventa “un classico”. Non si potrà fare a meno di questo sguardo per leggere Napoli e la sua storia.