Woody Allen e un cinema umano che non può essere arrestato
"Non ho mai pensato al ritiro, dovessi morire accadrà sul set di un film".
Queste le ultime fondamentali parole del regista di Brooklyn in occasione di una conferenza stampa a San Sebastiàn, dove sarà ambientato il suo nuovo film.
Una dichiarazione capace di eliminare l'alone di amarezza e profonda disillusione che aveva circondato impietosamente il tanto influente personaggio di Allen e tutto il suo cinema, la sua arte.
Bersaglio di accuse di molestie da parte della figlia adottiva Dylan, snobbato e scaricato per lo stesso motivo da Amazon per la produzione di "Un Giorno di pioggia a New York" e allontanato dalla maggior parte degli editori per la pubblicazione di un'autobiografia: una serie di misure ciniche e implacabili che hanno avuto il sapore di una damnatio memoriae in atto.
La logica alla base di tali decisioni appare perversa e inconsistente; produrre o distribuire Allen significava esaltare e sostenere una poetica malata, una visione del mondo resa materia filmica che nasconde il godimento per la pedofilia e l'incesto, tra l'altro accuse che mai si sono tradotte in condanna.
Concordando senza dubbio sulla spregievolezza delle azioni oggetto di accusa e chiarendo nuovamente il mancato riscontro di veridicità, sembra tuttavia interessante ricordare che giudicare la filosofia, o l'arte di un soggetto dalla condotta di questo è operazione sbagliata e a tratti ridicola.
Lo stesso Schopenhauer fu visto dai suoi allievi uscire da un bordello, evento in contrapposizione netta con le parole in ordine ala castità pronunciate a lezione.
La sua risposta alle domande sconcertate dei giovani fu proprio che la personalità del filosofo può cadere interamente fuori dalla sua filosofia, non per questo perde la validità teorica già assodata.
Allen sarebbe potuto sparire dalla scena smettendo di creare, come altri importanti personaggi hanno fatto rifugiandosi nel nichilismo di chi non ha più fiducia nel mondo, nei propri colleghi, abracciando il ruolo dell'autorevole vittima e facendo passare la fuga come un atto nobile ed elevato, in realtà autoreferenziale e codardo.
La sua reazione è stata inversa: "Il mio cinema - ha detto ancora il regista – parla di relazioni umane e rapporti tra persone. E cerco di farlo con il mio senso dell'umorismo. Da quando ho iniziato tanti anni fa la mia filosofia è sempre stata di continuare a restare concentrato sul mio lavoro a prescindere da ciò che accadeva nella mia vita con mia moglie, i miei figli, l'attualità, la politica, la malattia. Non importava quello che succedeva, io mi concentravo sul mio lavoro".
E così, mentre in Italia aspettiamo la proiezione ad ottobre di "Un giorno di pioggia a New York" resa possibile da Lucky Red, Allen prepara il 51esimo film della sua straordinaria carriera destinata a non fermarsi neanche dopo la catastrofe che l'ha investito, intitolato provvisoriamente "Rivkin's Festival", commedia romantica su una coppia americana di sposi al Festival della città basca con la presenza nel cast di Christoph Waltz, Louis Garrel, Elena Anaya, Wallace Shawn, Gina Gershon e Sergi López.