MSN Messenger: cronaca di un trauma generazionale non riconosciuto

Di Roberta Baiano
Ci sono tutta una serie di motivi per cui noi millennials siamo come siamo.
E uno di questi motivi è MSN Messenger.
Sì, avete capito bene.
Quel programmino azzurro con gli omini stilizzati che oggi pare una reliquia preistorica e che invece ha contribuito in modo decisivo alla nostra educazione sentimentale, digitale e ansiogena.
MSN non era solo una chat.
Era il luogo dove scoprivi che sì, anche tua sorella maggiore di dieci anni più grande era in realtà un essere umano.
Forse è stato il primo momento in cui io e lei ci siamo davvero rivolte la parola.
Una tredicenne e una ventitreenne che trovavano finalmente un punto di contatto: l’arte di digitare frasi tragiche accanto al proprio nickname e lanciare trilli come se non ci fosse un domani.
Per chi non c’era, spieghiamolo bene: MSN Messenger era una piattaforma di messaggistica istantanea lanciata nel luglio del 1999, che ha vissuto la sua apoteosi nei primi anni 2000, quando è diventato Windows Live Messenger.
Acquisito da Microsoft e poi fuso con Skype nel 2013, ha raccolto oltre 330 milioni di utenti al mese, prima di essere smontato pezzo per pezzo come una bancarella abusiva.
Ma nel frattempo aveva già fatto i suoi danni.
Se la scritta “sta scrivendo” su WhatsApp oggi vi genera ansia, pensate a noi.
Vent’anni fa quella scritta c’era già.
E restava lì.
Per minuti.
Lunghi, snervanti minuti.
Fissavi lo schermo come si fissa un forno aspettando che si scaldi.
Poi: niente. Spariva. Il contatto andava offline. Il messaggio non arrivava mai.
Fantasmi digitali che ancora oggi ci fanno controllare compulsivamente la doppia spunta blu. Non è paranoia, è PTSD da Messenger.
C’è un motivo se oggi accendiamo il PC alle due di notte per rispondere a una mail del lavoro con l’urgenza di chi sta disinnescando una bomba.
È che su MSN, se non rispondevi in 30 secondi, ti beccavi dieci trilli uno dietro l’altro, illeggibili, assordanti, invasivi, devastanti.
Nessuna app moderna è riuscita a replicare quel livello di terrorismo acustico.
E nessuna funzione ha mai più avuto la stessa capacità di distruggere il tuo monitor, il tuo equilibrio emotivo e la tua dignità in una sola vibrazione epilettica.
Quel trillo, comunque, te lo meritavi anche solo per aver impiegato troppo tempo a scrivere.
Il che ha generato, oggi, un’intera generazione che vive in funzione di “sta scrivendo…”.
Così, quando lo vediamo comparire, calcoliamo i secondi.
Se sparisce senza motivo, immaginiamo già l’arrivo di un messaggio di sei schermate. Oppure, più spesso, un nulla che ci costa 48 ore di overthinking.
E se vi turbano gli hater, i commenti cattivi sotto i post o nelle dirette, allora è proprio vero che non avete mai conosciuto Doretta.
Un’intelligenza artificiale ante litteram, una specie di bisnonna di Siri o Alexa, che si limitava a rispondere con qualche frase standard, mentre quei poveri quattordicenni distrutti dalla vita, laprendevano di mira scrivendole le peggiori cattiverie immaginabili.
Nessuna IA è mai stata trattata peggio.
E lei niente, zitta, incassava.
Una vera martire digitale.
Spero che ChatGPT sappia cosa sua nonna ha dovuto passare.
Ancora: voi, nuove generazioni, con i vostri post minimal, le vostre grafiche pulite, i profili ordinati color crema, si vede che non avete mai avuto la possibilità di esprimervi sullo “space” di MSN.
Luoghi psichedelici, blog emozionali in cui regnava l’estetica emo-glitterata.
Nero, fucsia, azzurro elettrico, immagini animate, scritte glitter e pupazzetti con gli occhi grandi che piangevano sangue.
Insomma, Messenger non era solo un’app.
Era la nostra vita online, quando la vita online era ancora una cosa da fare di nascosto, dopo i compiti, prima che i genitori dicessero basta.
Era la zona franca tra la scuola e il letto.
E ci siamo passati tutti: a mandare link, a scambiarci i compiti, a flirtare male, a soffrire peggio.
Tutto rigorosamente gratis, quando ogni SMS di massimo 50 caratteri costava al mese quasi quanto un monolocale a Roma.
Poi è arrivato Facebook, WhatsApp, l’algoritmo, l’iperconnessione e tutto è cambiato.
MSN è stato lentamente inglobato, sostituito, dimenticato.
O quasi.
Perché, ve lo garantisco, chi l’ha vissuto non l’ha mai davvero lasciato andare.
Questo articolo l’ho scritto per noi millennials.
Per ricordarci chi siamo.
Per darci la forza di affrontare il futuro anche in momenti di disperazione.
Perché, se abbiamo superato le umiliazioni su MSN, i trilli, le sparizioni, le scritte “sta scrivendo” infinite, Doretta e l’estetica emo-glitterata, allora sì che possiamo superare tutto.
Anche la prossima mail di lavoro su Outlook alle 1:54 di domenica.






