Il Principe delle tenebre riposa sotto il sole.
Il Principe delle tenebre riposa sotto il sole.
Di Roberta Baiano
C’è una tomba a Napoli che non smette di suscitare curiosità.
Non perché mostri scheletri particolari o resti insanguinati, ma perché sfida la logica, le mappe e la storia ufficiale.
Si tratta di una lastra di marmo consumata dal tempo, nascosta nella chiesa di Santa Maria la Nova, a due passi dal cuore barocco della città.
Da dieci anni, alcuni studiosi ipotizzano che sotto quella pietra riposi Vlad III di Valacchia.
No, no.
Non un sosia, non un parente.
Proprio lui!
Il voivoda conosciuto come Dracula.
La leggenda nasce da una ricerca universitaria.
Erika Stella, dottoranda, si accorge che i simboli sulla tomba del nobile napoletano Matteo Ferrillo non quadrano.
L’elmo con testa di drago, le due sfingi contrapposte, i segni egizi.
Nulla di tutto questo appartiene all’araldica locale.
Sono elementi estranei, quasi fuori posto.
O forse fin troppo precisi.
Nel 2014, l’intuizione prende forma.
Un’équipe di ricercatori, supportata dall’Università di Tallinn, propone un’ipotesi: Vlad III non sarebbe morto in battaglia, né sepolto in Romania. Sarebbe, invece, stato catturato dai turchi, poi liberato grazie alla figlia Maria Balsa, fuggita a Napoli in giovane età, adottata da una famiglia aristocratica.
Sarebbe stata lei a traslare le sue spoglie e ad affidarle a quella tomba, protetta sotto falso nome.
Quasi nessuno ci crede. Fino a oggi.
Quando proprio su quella lastra, una scritta incisa nel marmo — rimasta indecifrata per secoli — viene forse finalmente decifrata.
Le prime traduzioni parlano chiaro: si tratterebbe di un epitaffio in onore di Vlad III, principe valacco, membro dell’Ordine del Drago.
Una dedica funebre, carica di riferimenti simbolici, che inizia a cambiare le carte in tavola.
E non è l’unico indizio. Su quella tomba compare lo stemma della Dobrugia, regione che Vlad governò, teatro delle sue vittorie contro i turchi.
Due delfini accoppiati, identici a quelli presenti in un’altra cripta a lui legata, quella di Acerenza.
E poi ci sono le sfingi, che richiamerebbero — secondo alcuni — la città di Tebe, evocando per assonanza il nome Țepeș, “l’Impalatore”.
A rendere tutto ancora più inspiegabile, un altro dettaglio.
Un’area precisa della lastra, rilevata con termocamera, emana calore.
Una zona calda in un blocco di marmo freddo.
Inutile dirlo: nessuna spiegazione tecnica, nessuna fonte di energia nota.
Nel frattempo, gli storici ufficiali continuano a sostenere che Vlad sia sepolto vicino Bucarest, nell’isola di Snagov.
Ma quella tomba è vuota.
O meglio, dentro pare ci siano solo ossa animali.
Forse è tutto solo una suggestione, forse una coincidenza.
Ma Napoli, città dove i morti parlano, le tombe confondono e le reliquie si moltiplicano, sembra la cornice perfetta per custodire un mito.
E se davvero Vlad III fosse sepolto lì, il principe diventato vampiro, l’uomo trasformato in mostro, il condottiero trasfigurato in creatura dell’ombra, allora il romanzo di Stoker avrebbe avuto solo torto su un punto: il luogo.
Non la Transilvania, ma l’ombra del Vesuvio.





